È un gran gioco, solo che si vende male. Oddio, in realtà dovrebbe aver venduto anche bene, ma quello che intendo è un’altra cosa. Diciamo che non è proprio un gioiellino a vedersi, né il prodotto di una raffinata ricerca estetica. Se poi ci si aspetta una sceneggiatura memorabile, con caratterizzazioni da film d’autore, colpi di scena spiazzanti, allora campa cavallo. I punti forti di Deus Ex Human Revolution sono due: atmosfera e gameplay. Nulla di nuovo, non illudetevi, ma chi se la sente di fare gli schizzinosi di questi tempi?
«All the previous Portal 2’s reviews have been a mathematical error… a mathematical error we’re about to correct.» Recensione a otto mani, scarsa lucidità e tanto sentimento dell’ultimo lavoro Valve.
Premessa: si potrebbe fare i simpatici e scrivere ‘kombattimento’, ma oltre che di simpatico non c’è nulla, mi sembra anche una poverettata. E quindi rimane con la ‘c’.
Bene iniziamo. Dicevo. Ho letto da qualche parte che questo nuovo Mortal Kombat sarebbe il nono, escludendo gli episodi portatili e qualche spin off imbarazzante. Io ne ho giocati due, e mezzo. Il primo apparve in sala, quando? Wikipedia suggerisce 1992. Era messo lì, quasi all’entrata, c’era la folla, voci incredule: “E’ un film, è vero, guarda, c’è pure quello di grosso guaio a ciainatàun, ma quello è Vandamm’? Oh, ma pure il sangue.”
Una delle cose che mi fa più impazzire al mondo è quando qualcuno, parlandomi, associa le mie passioni e ne formula una teoria. Estate 2008, qualche mese dopo l’uscita del primo capitolo della saga Patapon. Sdraiato sul divanetto della casa in cui alloggiavamo con qualche amico, accendo la PSP di uno di loro, che pronto interviene: “Oh Tia, devi assolutamente provare ’sto gioco, a te che fai grafica di sicuro piace!”? Tra gli amici io sono quello che fa grafica, e di conseguenza vengo associato a tutto quello che, nei luoghi comuni, è creativo, originale e graficamente appagante.
Di nuovo adventure e di nuovo un’esperienza singolare che mi ritrovo a descrivere. Benché la storiografia videoludica ce la metta tutta a convincerci del contrario, le avventure grafiche non sono tutte Monkey Island, Indiana Jones, Grim Fandango e cloni. Si tende spesso a tralasciare opere più coraggiose e raffinate sul lato estetico e/o narrativo e/o ludico. Ho scritto apposta di The Dig come di un episodio dall’enorme fascino, eppure tra i meno considerati nel catalogo LucasArts. Oggi è il turno di Beneath a Steel Sky, punta e clicca di Revolution, la stessa software house che avrebbe poi sviluppato la serie famosissima di Broken Sword.
“THQ” e “bei giochi” non vanno a braccetto molto volentieri, e di solito la qualità dei loro progetti oscilla tra relazione complicata e vedovo, se vogliamo utilizzare una metafora facebookistica. In offerta, dopo l’incoraggiante prova di Metro2033, mi è capitato questo Darksiders che, al tempo dell’uscita, avevo addocchiato grazie a varie fonti che me lo segnalavano come bellino, senza un vero e proprio hype: mi ricordo qualche video e varie interviste, ma il chiacchiericcio sui forum era moderato. I Vigil Games, sviluppatori del gioco, hanno dalla loro un ex artista Marvel (Joe Madureira) che sicuramente avrà aizzato qualche cuore nerd, ma in generale è stato un titolo dalla gestazione di medio-basso profilo.
Dopo aver stuzzicato molti palati fini, lasciandone fin troppi indifferenti (viste le vendite scarsine, ma che comunque non hanno pregiudicato il seguito, presente all’E3 di quest’anno), è arrivato il momento anche per il Sottoscritto, a un anno esatto dall’uscita nei negozi, di gustarsi questa piccola gemma grezza sviluppata da 4AGames, (gruppo di dev ucraini, che hanno lavorato a Stalker prima di creare questa nuova sh), e basata sul bellissimo romanzo omonimo di Dmitry Glukhovsky.
“Houston, abbiamo un MacGuffin”. Attila è un corpo celeste che ha deciso di spiaggiarsi sulla Terra. Urge convincerlo a rituffarsi nell’universo, con l’aiuto di due testate nucleari. La NASA elabora un piano di massima emergenza e forma un team speciale per l’occasione: il comandante Boston Low, militare esperto di sopravvivenza in situazioni critiche, responsabile della sicurezza della squadra; il Dr. Ludger Brink, geologo e archeologo, già leader della prima spedizione scientifica sulla superficie venusiana; Maggie Robbins, reporter di fama mondiale, linguista esperta, sostenitrice agguerrita della libera informazione.