Se ne stanno leggendo di ogni: riviste storiche che gli danno il top score, acquirenti incazzati per i DLC al giorno di lancio, fan storici ancora più incazzati per il finale, 10 di media per la critica e 4 per gli utenti… ma quindi, in modo schietto, com’è questo Mass Effect 3? Chiaramente un parere lucido sulla saga galattica non può che arrivare dai margini della galassia.
Diciamo che il finale, che pure mostra parecchio il fianco, è forse l’ultimo dei problemi di questo episodio conclusivo di una trilogia decisamente mixed bag, per dirla con Skyrise. Il problema principale risiede nella volontà di fare di Mass Effect 3 l’episodio conclusivo ed epico della trilogia, col tiro di un disaster movie, di un blockbuster hollywoodiano, e quindi tutte le scelte fatte in fase di progettazione vanno in questo senso. In particolare è portato all’eccesso il tono militare-cameratesco e la morale spiccia da campo di battaglia (un mix fra pragmatismo, senso dell’onore e tolleranza, con questioni potenzialmente complesse e dalle imprevedibili implicazioni a lungo termine sempre risolte dall’eroe protagonista con un clic sulla frasetta blu), in un’orgia di epicità onanistica in chiave yankee-futuristica che quando non annoia infastidisce –un momento l’eroe è turbato per la perdita di innocenti, trenta secondi dopo la telecamera lo riprende in slow-mo mentre scavalca eroicamente un muretto sprizzando ormoni e coolness, non fa molto per rendersi credibile nel trattare il tema della morte, in scala macro o micro. Non aiuta il doppiaggio originale, con quel tono di voce, quell’accento e quel modo di pronunciare le frasi che porta all’odio viscerale per il buzzurro protagonista nel giro di qualche cutscene, specie quando attorniato da elementi di spessore come la new entry James (“siamo forti nel mercato del sud ma dovremmo rafforzare la presenza fra le comunità di giovani latini palestrati, mettiamoci la massa di muscoli tutto feromoni e tatuaggi tribali che fa immedesimare il popolo loco!”), insomma Shepard è la leggenda e tutto deve concorrere senza pudore alcuno alla trasmissione di questo trionfo d’eroismo: la regia è sempre pronta ad enfatizzare ogni situazione (che sia di gaudio o di disperazione c’è sempre un cliché adatto), l’impianto scenografico è prodigo nel mostrare scenari distrutti e in fiamme (fa così tragedia, così epico!), la scrittura è subordinata a questa missione, e di conseguenza anche le musiche spingono ancora di più sulle orchestrazioni stile Requiem for a dream, buttandoci su un po’ di synth a caso per fare identità, e nessuno dei temi musicali fa alcunché per rendersi memorabile. Come tiro generale si è passati dai paesaggi lunari fuori dal tempo alla squadra Bravo in avanzata su Londra, seguendo una traiettoria di massificazione che passa proprio dove nessuno l’ha cercata, tutti così attenti a controllare che le statistiche da RPG non venissero compromesse dall’impronta action.
Di fatto Mass Effect 3 campa sui meriti costruiti dai precedenti episodi: nel primo si era costruito il mondo, si eran descritte le razze, la scifi un po’ seventies, rinnegata poi nel secondo, che però introdusse un maggior spessore nella scrittura e nella psicologia dei personaggi dell’equipaggio: tutto ciò viene qui praticamente abbandonato poiché la missione salvezza ha precedenza su tutto, non c’è tempo per l’esplorazione, non c’è personaggio utile se non quello che può garantire ulteriori mezzi alla flotta –e tutte le subquest vanno in questa direzione, utili solo a riempire una barra corrispondente all’estensione dell’armada. I personaggi vengono dimenticati, nemmeno falcidiati ma proprio messi in secondo piano, qualcuno continuamente sottratto o nascosto al giocatore senza motivo, fino a una parte finale in cui la loro presenza viene notata a fatica. Fanno eccezione solo i rapporti fra alcune razze, qui però risolti in modo sbrigativo e con morale e metodi di cui sopra.
Tutto è architettato in modo da coinvolgere nella narrazione della resistenza (col solito cliché yankee del nemico inquantificabile e indistruttibile, v. le seppie di Matrix tanto per dirne una, epic epic epic!), per poi tradire questo coinvolgimento già labile incitando a ogni passo un rallentamento, un controllo fuori dalla direzione consigliata, un’esplorazione insensata di pianeti lontanissimi dall’obiettivo, ti viene gridato costantemente che c’è fretta e urgenza ma il giocatore che ignora il richiamo dei civili che muoiono (in realtà no, tutto scatta ai soliti checkpoint) e si mette a esplorare l’ultimo stronzo fra gli anfratti delle rovine viene ovviamente premiato con armature e power up, come in un tacito accordo fra sviluppatori e giocatori, concordi nel ritenere incredibile la minaccia aliena e ridicola un’associazione “terroristica” con mezzi per essere ovunque, prima di tutti, in modo perfettamente invisibile e con mezzi e risorse superiori a quelle della galassia sommate. Sono minacce che al massimo possono strappare un sorriso, per come vengono sparate a ondate di nemici sempre crescenti nel tentativo di trascinare più a lungo possibile il conto di ore giocate.
Insomma, al finale non è che ci si arrivi con grandi aspettative, e anzi –con tutti i buchi che presenta– rimane forse la sola cosa memorabile del gioco, e le polemiche che l’accompagnano fanno solo un favore a Bioware. La grossa occasione mancata è quella delle promesse di tenere conto delle scelte effettuate dal giocatore per cucire su di lui l’esperienza di gioco più personale possibile, di fatto non mantenuta: non solo durante il gioco le possibilità di risposta nei dialoghi sono diminuite (e nessuno pare se ne sia accorto), ma ogni scelta fatta nella trilogia che avrebbe comportato conseguenze ed eventi a cascata realmente differenti è stata abilmente evitata, facendo sparire temporaneamente i personaggi, rendendone insignificanti gli effetti o andando a far confluire ogni valore nella variabile pigliatutto del “quanto è grossa la flotta”.
Come accade sempre più spesso, la conclusione è la parte meno interessante dell’opera, poiché ha il compito di chiudere questioni tutto sommato poco interessanti, a differenza delle prime parti dove vengono svelati mondo e personaggi. Per questo Mass Effect 3 è l’episodio meno riuscito della saga: lo si gioca perché è un legame che dura da anni, perché la scifi anche becera conserva sempre un suo tiro (fosse anche solo in qualche microesperienza laterale), perché la meccanica additiva fra fasi giocate e rapporti con i personaggi funziona sempre, ma di base è un titolo che può piacere fino in fondo solo a chi gode ancora con questo genere di epica onanistica.
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