LOOM - { Curia, Riesami }
JackNapier, Martedì 17 Aprile 2012 @ 14:51

Prima della storia scritta, il sapere era custodito dalle gilde. Sotto le montagne, i Forgiatori plasmavano meraviglie incorruttibili. Nei boschi, i Pastori guidavano invisibili i loro greggi. I Vetrai creavano meraviglie di cristallo nella città trasparente. I Tessitori - i più austeri - conservavano e tramandavano l’arte più alta e pericolosa. La natura si mostrava loro come la trama di un tessuto. Nel Telaio, vite ed eventi si intrecciavano come fili. Per questo motivo vivevano in esilio su un’isola a largo nell’oceano, temuti dal mondo.

È quasi l’alba e le stelle nel cielo stanno per bruciare la loro ultima luce. Su una rupe, l’ultima foglia d’autunno si stacca dal suo ramo e cade. Bobbin Threadbare contempla la scena. Si dice sia figlio del telaio, e che sia portatore di sventure. Una ninfa convoca il giovane al consiglio degli anziani, ma intanto il suo clan scompare. Comincia qui la sua quest.
Qual è il legame tra musica, tessitura e magia? È la prima cosa da scoprire. Il nostro bastone suona: se do-re-mi-fa apre una porta, fa-mi-re-do deve richiuderla per forza. Il primo ambiente serve per impratichirsi: trasformare la paglia in oro, schiudere ostriche, tingere tessuti. Ogni azione ha una melodia. Quale sistema singolare! Dov’è l’inventario? E la griglia dei verbi? Cose inutili per un Tessitore. Tutto ciò che serve è intorno a Bobbin. Abolita la pesca a strascico di oggetti che non si sa bene a cosa servono, ma si sa che prima o poi serviranno. Gli oggetti vibrano e noi possiamo ascoltare e intervenire su di essi. La crescita del protagonista coincide con la scoperta di melodie più complicate, l’aggiunta di note sul pentagramma e la comparsa di indovinelli più difficili. Di quadro in quadro si srotola la narrazione. Un viaggio, una ricerca della verità, la lotta, quella dei logici tessitori/maghi/musici, contro il caos. Il tutto immerso in un contesto “sincretico”, trapuntato di mitologia greca, religione e fiabe antiche, rappresentato con l’edulcorazione di un film Disney vecchia maniera.
È tutto oro quello che luccica? Dipende. Il gioco in sé fu un fallimento, per i puristi. Ma quando mai i puristi azzeccano qualcosa? Per limiti tecnologici e tecnici, in Lucas hanno tessuto una coperta troppo corta. Il gioco è un flash; enigmi: pochi (e facili), oggetti interattivi: pochi, location: poche. Lo si attraversa dall’inizio alla fine in poche ore. Ma di Loom tieni la “potenza”, mica il risultato. La scenografia romantica, popolata da ninfe, draghi e animali notturni, circonda il giocatore con un immaginario fantasy primevo, che include la magia come arte perduta. Magia tradotta in musica. Attorno a questa idea si sviluppa il gameplay. È un ciclo: esplorazione, studio, ascolto, riproduzione. È questo ciò che amo delle avventure e che vorrei vedere ancora nelle nuove generazioni di giochi: la sorpresa e il mistero, lo spaesamento, lo studio e l’esplorazione, l’apprendimento delle regole che governano il mondo di gioco. Ma, soprattutto, l’emozione del vivere il viaggio dell’eroe. In Loom, forse più che in tutti gli altri adventure, si ritrovano questi elementi. Non è un caso che sia stato annoverato tra le fonti di ispirazione di Sword & Sworcery.

Brian Moriarty era autore di avventure testuali di successo. Nella scuderia LucasArts non ebbe paura di affidarsi a un altro paradigma, si buttò nella nuova avventura senza scendere a patti con le convenzioni del genere. La sua creatura sarebbe stata delicata e bellissima come la melodia di un carillon. Le ispirazioni arrivarono da “Il Lago dei Cigni” di Tchaikovsky e da visioni ripetute de “La bella addormentata nel bosco”. Alcuni brani dell’opera sono stati riorchestrati da George Alistair Sanger e Gary Hammond. I disegni del cartone Disney furono sottoposti allo studio di Mark Ferrari, disegnatore. Nelle intenzioni, Loom sarebbe dovuto essere il primo atto di una serie. “Non furono le scarse vendite a scoraggiare la realizzazione di seguiti…”, ha dichiarato Moriarty, “ma la volontà di dedicarsi ad altro”, e forse la consapevolezza di aver già detto tutto quello che c’era da dire in Loom.


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