Due letture di Dishonored.
Molti ne parlano con toni entusiastici, altri ne criticano un’eccessiva brevità: aggiungiamo sproposito allo sproposito con una doppia recensione ai margini, e quindi definitiva, del gioco dell’anno (poiché unico).
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Molti ne parlano con toni entusiastici, altri ne criticano un’eccessiva brevità: aggiungiamo sproposito allo sproposito con una doppia recensione ai margini, e quindi definitiva, del gioco dell’anno (poiché unico).
Dopo aver stuzzicato molti palati fini, lasciandone fin troppi indifferenti (viste le vendite scarsine, ma che comunque non hanno pregiudicato il seguito, presente all’E3 di quest’anno), è arrivato il momento anche per il Sottoscritto, a un anno esatto dall’uscita nei negozi, di gustarsi questa piccola gemma grezza sviluppata da 4AGames, (gruppo di dev ucraini, che hanno lavorato a Stalker prima di creare questa nuova sh), e basata sul bellissimo romanzo omonimo di Dmitry Glukhovsky.
È possibile, a 2009 inoltrato, essere presi totalmente alla sprovvista da un gioco? Averne letto qualcosa, averne visto il logo e qualche immagine senza provare il minimo interesse, per poi essere travolti dal divertimento una volta provato?
Sicuramente sì, è esattamente quello che è successo a me con Borderlands. L’avevo snobbato al momento dell’uscita senza prenderlo in considerazione, senza aver neanche un’idea precisa di cosa il gioco proponesse. Dalle immagini sembrava solo l’ennesimo sparatutto dall’ambientazione post-nucleare ed una grafica cartoonesca per ergersi dalla massa. No, grazie.
Un gioco così non lo si poteva ignorare, prima di tutto perché un FPS, e fin lì nulla di strano - ma non s’ignora mai. Però è nipponico, a dispetto della sua caratterizzazione yankeggiante, di Hudson per giunta, ed è solo scaricabile in una manciata di minuti da WiiWare. Ma quando mi dici che è addirittura multiplayer, con tanto di classifiche e cooperative online, le stranezze cominciano ad essere decisamente troppe per lasciarlo al suo destino senza passarci sopra qualche oretta.
Killzone 2, inutile girarci attorno, alla prova dei fatti, pad in mano, è esattamente quello che il presunto ed ipotetico popolo sonaro aspettava da tempo: il titolo capace di andare a rompere le uova nel paniere alla fazione avversaria (gli altrettanto presunti ed ipotetici boxari), proprio nel loro campo e genere più rappresentativo: l’fps, e ci metto anche il doppio duepunti consecutivo come fa Umberto Eco, e che cazzo.
Se le speranze e le attese in uno shooter si misurano dalla lunghezza della fila della gente che scalpita per provarlo, i due di Sony possono anche non uscire. Assieme (perché con un’unica fila li vedevi entrambi) non riuscivano a metterne in riga un centesimo dei beoti ammassati per vedere Call of Duty 5.