Due letture di Dishonored.
Molti ne parlano con toni entusiastici, altri ne criticano un’eccessiva brevità: aggiungiamo sproposito allo sproposito con una doppia recensione ai margini, e quindi definitiva, del gioco dell’anno (poiché unico).
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Molti ne parlano con toni entusiastici, altri ne criticano un’eccessiva brevità: aggiungiamo sproposito allo sproposito con una doppia recensione ai margini, e quindi definitiva, del gioco dell’anno (poiché unico).
Eccerto che New Vegas è un “More of the Same”. C’è da stupirsi? Mica è “same” e basta? - Si, ok, ma quanto c’è di “more” e quanto di “same”?
La cornice è “same-same”: combattimento, SPAV, modding armi, SPECIAL, personalizzazione PG, sistema di Perk. Collaudato, rodato, efficace. Animazioni, espressioni, texture, effetto pop-up, eredità di Fallout 3, con i pregi e le brutture del caso.
Un ritorno necessario. A Tamryel. Quasi dovuto.
Un ritorno in quelle lande, che ancora oggi vale la pena percorrere e vivere, come fosse la prima volta. Anche solo una passeggiata lungo i sentieri del bosco collinare, mentre guardi la valle con la capitale imperiale che si tinge d’arancio, o tornare a bruma innevata e sedersi nella locanda a bere una pinta mentre fuori nevischia… varrebbe una serata a Tamryel. E volerlo dimenticare sarebbe un’inutile pugnalata a sè stessi.