Portal quattro. - { Curia, Delibere }
Redazione, Lunedì 6 Giugno 2011 @ 10:38

«All the previous Portal 2’s reviews have been a mathematical error… a mathematical error we’re about to correct.» Recensione a otto mani, scarsa lucidità e tanto sentimento dell’ultimo lavoro Valve.

L’Arte della Fuga di Johann Sebastian Bach è un’opera costruita su una serie di variazioni attorno ad un tema assai scarno. Gli “Esercizi di Stile” di Raymond Queneau ripropongono la stessa struttura in forma letteraria. Un accaduto banale raccontato n volte, assecondando figure retoriche (reali o possibili) sempre diverse. Un gioco infinito e geniale, che sfugge persino al controllo dell’autore, coinvolgendo una schiera sempre più folta di appassionati. Queneau ha inventato un algoritmo, un programma senza “end”. Così Valve ha generato Portal: esercizi di stile, nati attorno ad un tema assai scarno. Portal 2 non è che una prosecuzione logica, una fioritura di figure geometriche attorno ad un nucleo elementare: la contesa tra due entità. Un gioco che scherza sulle regole della semiotica, della semantica, della sintattica dei videogiochi, spesso stravolgendole, anzi, invitandoci a stravolgerle: un meta-videogioco. Produrre un syntax error per confondere il deus ex machina. Ovviamente, esiste sempre un solo percorso guidato: anche quando sembra di deragliare, si tratta di una “finzione del gioco”. Deragliamenti che sono espedienti utili a spezzare il ritmo di gioco e di narrazione: dall’avanzamento da una camera alla successiva, ridondante, ripetitivo, alle accelerazioni inopinate nei “backstage” di Aperture, dove è possibile inciampare in indizi sul passato del centro di ricerca e di GLaDOS stessa. Il suo stile minimalista nasconde una complessità di riferimenti inter ed extra videoludici tanto serrata che, paradossalmente, imbroccare dei nomi è un esercizio semplicissimo, col rischio di partire per la tangente. Citazionista, sì, ma senza l’ipertesto sparato in faccia con acclusa didascalia. Portal è, a tutti gli effetti, il primo videogioco postmoderno. Ma, soprattutto, è un gioco spiritoso, divertentissimo, da squartarsi dal ridere, e ci si sente anche un po’ bastardi per l’humour nero, che più nero non si può. Il suo merito maggiore è di far sentire brillanti anche i più idioti. I rompicapi, all’apparenza difficili, non bloccano mai il giocatore per più di due/tre tentativi, frutto di un bilanciamento volto a rendere il prodotto più popolare possibile. Una fregatura? E perché? Anzi, capolavoro al quadrato! Ma la rivoluzione arriva col multiplayer cooperativo. Altri test, nuove camere, nuovi esercizi di stile e una trama contigua al single player. Due nuovi fattori si aggiungono alla logica stringente del single: il tempismo e la coordinazione. Atlas e P-Body sono due automi creati da GLaDOS per rimpiazzare l’impiego di esseri umani nei test.

Miyamoto mon amour

Miyamoto mon amour

Due giocatori per due portali ciascuno fanno un totale di quattro portali, cui vanno aggiunti i diversi sistemi di comunicazione adottati dai due robot per consentire la sincronizzazione perfetta dei movimenti. Puntualità cronometrica e precisione al millimetro nei salti sono necessari per raggiungere gli obiettivi. L’omaggio più sentito e riuscito a Super Mario. Multiplayer che non è più un elemento a se stante, ma più un “secondo tempo”. E forse a questo tipo di approccio allude Newell, quando parla della concezione di multiplayer che la sua azienda adotterà nei titoli futuri. Per quanto riguarda il presente, non ho dubbi nell’insignire Portal (1&2) del titolo di gioco della generazione.

JackNapier / torna in cima

zappeo / torna in cima

Ma era proprio necessario un seguito di Portal? Acclamato da tutti come “piccola perla innovativa”, io lo vedevo come il simbolo di un modo nuovo di concepire i giochi attorno a un’idea e di svilupparli nella proporzione a loro indicata, riuscendo a venderlo poiché liberi dal giogo dei 60€ dello scaffale. Se devo essere sincero, già all’epoca lo sviluppo mi fece un po’ storcere il naso, con una meccanica bella e un concept originale che però, dai primi enigmi elementari, arrivava a stanze dalle soluzioni non impossibili, ma tutte basate più che altro su exploit, sullo sfruttamento eccessivo dei portali per creare loop e rincorse in modo simile a come si farebbe con un bug. Riusciva però a finire prima di stancare, l’esperienza era appagante sia esteticamente sia ludicamente, e quindi brava Valve. Ma è arrivato il tempo di monetizzare, di far fruttare l’IP, e come al solito il genio e la sregolatezza soccombono di fronte allo studente che si applica: campagnona, coop, storia sbraitata in una nenia incessante, persino lo shop con ridicole customizzazioni dai prezzi che non possono essere letti se non come una presa per il culo. Non è forse la negazione della dimensione innovativa del primo?

Bug e scelte di inconcepibile gravità minano il comparto tipografico della versione windows.

Bug e scelte di inconcepibile gravità minano il comparto tipografico della versione windows.

Ogni cosa è stata pompata con steroidi: ciò che un tempo era sottile e suggerito, ora ti viene buttato in faccia con insistenza e autocompiacimento, ogni tocco che ha fatto del primo un gioco dal linguaggio peculiare viene riproposto per rimarcare il legame coi fan, come una galleria di tormentoni à la Zelig. Molti hanno lodato la scrittura per Wheatley, a me quella parlantina ha solo dato fastidio, con una gag trascinata oltre ogni limite di tempo accettabile e con personalità così ovvie nella loro instabilità da non procurare mai uno “shock” vero, si parte e si arriva scettici, immuni a qualsiasi twist della trama. Per di più senza localizzazione audio, con sottotitoli che t’investono per 10 ore di gioco anche nei momenti più concitati e che finiscono inevitabilmente per essere ignorati per prevedibilità ed inutilità “pratica”. Come al solito nei giochi Valve si viene trascinati da un posto all’altro senza motivo (praticamente si starebbe scappando a caso), seguendo percorsi perfettamente delimitati dalle piastrelle bianche, e contribuendo a mettere in crisi la créme delle AI, incapace di rinchiuderti in un 1×1 nero. Con il chiaro obiettivo di occupare più ore di giocato possibile (c’è persino un’ignobile metroidvaniata a 3/4 che lascia basiti per la spudoratezza) ogni novità viene tediosamente centellinata il più possibile, e per vedere i primi liquidi, unica vera grossa novità del gioco assieme alla cooperativa, tocca aspettare la metà della campagna.

Ci sono momenti di Portal 2 in cui l’acquisto viene giustificato, alcuni degli enigmi (specialmente una volta scoperti i liquidi) regalano soddisfazione e la cooperativa è divertente pure nella sua dose monouso, ma l’impressione che se ne ricava è quella di un nucleo appesantito da qualche sovrastruttura di troppo e caricato d’un fardello che non doveva essere il suo. Nulla che impedisca di godere di un prodotto confezionato con cura e passione, ma è bene tenere a mente e far notare all’incensata ben oltre i suoi meriti Valve— come in questo caso lo sguardo sia puntato verso lo specchietto retrovisore, per quanto il panorama sia gradevole.

aries / torna in cima

A descrivere minuziosamente l’ultimo capolavoro Valve ci penseranno (e ci hanno già pensato) persone ben più preparate e in gamba di me, ad incensarlo e/o criticarlo pure, quindi che mi resta da aggiungere se non uno spoiler? C’è un momento in Portal 2 che non sono sicuro abbia ricevuto la giusta copertura mediatica, e guarda caso è ciò che accade alla fine del gioco. Qualcosa che dura pochi istanti e che mi sento di definire: epifania videoludica.

Quando si è prigionieri dell’amico-nemico Wheatley, mentre tutto intorno l’edificio Aperture cade in frantumi, vediamo aprirsi uno squarcio sul soffitto. Mai prima d’ora nella nostra estenuante vita da cavie abbiamo potuto ammirare la volta celeste, che adesso si estende infinita sopra di noi. Vediamo la luna brillare come una faro nell’oscurità, chiara come le pareti delle test-chambers. A quel punto non è un messaggio in sovrimpressione né la ragione a consigliarci cosa fare, ma il cuore. Spariamo un portale verso il satellite bianco, poi chissà. Lo vediamo sparire. D’un tratto illuminarsi. Colpire l’obiettivo. Lo vediamo aprirsi sotto Wheatley e trascinarci insieme a lui nello spazio profondo. Perché sì, il cuore ha sempre ragione e sparare alla luna non era altro che l’ultimo test della storia di Portal. Un atto di fede. Se non lo superi, non hai anima.

Nel mio strano percorso di videogiocatore mi sono imbattuto raramente in esperienze simili, ma sono sicuro che il panorama videoludico presente e passato ne offra parecchie. Magari pure Biker Mice From Mars contiene uno di questi preziosi momenti, solo ero troppo piccolo (o troppo grande?) per coglierne il vero significato. Chissà. Quello che so di certo è che ho provato qualcosa di paragonabile al viaggio sulla luna almeno altre tre volte in vita mia:

Castlevania: Symphony of the Night: quando dopo aver sconfitto Richter Belmont mi resi conto di essere solo a metà dell’opera. Avevo sputato molto sangue per arrivare a quella che, per un bimbetto che non sapeva ancora una parola in inglese, poteva tranquillamente apparire come la conclusione del gioco. Ma quel 48% di mappa completata non me la raccontava giusta. Altri evidentemente non colsero la finezza, dai commenti su Youtube: “WTF i totally missed that“, “Is that castle also in saturn version?“, “cheat“.

Metal Gear Solid: quando per sfuggire all’ipnosi di Psycho Mantis (che non solo ti stupra la mente ma anche la memory card), invertii disperatamente l’ingresso del controller dalla prima alla seconda porta scoprendo che sì, Kojima mi aveva di nuovo preso per il culo.

Shenmue: quando supponendo che il tempo a disposizione fosse infinito, cazzeggiai per le strade di Yokosuka fino ad aprile (c’era la sala giochi, capite, la sala giochi in un videogioco, un mise en abyme degno di Kaufman), e Lan-di venne a farmi visita. Un anno passato ad importunare la gente chiedendo informazioni sul boss cinese che uccise mio padre, a fare il duro per la via con la giacca tamarra e il cerotto sul viso, per poi crepare come un idiota nel dojo sotto casa per mano dello stesso tipo che volevo menare. La peggiore delle figure di merda.

Emozioni, appunto, che durano un attimo, non è tanto ciò che viene dopo a consacrare questi momenti, ma è la rivelazione stessa a renderli tali. Il cuore salta un battito, rimane sospeso nel vuoto per tutta la durata di quell’infinito secondo e tu non puoi far altro che mettere in pausa, uscire di casa e farti abbracciare da Zappeo.

funker / torna in cima


1 commento a “Portal quattro.”

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