Camelot è uno dei migliori sviluppatori nipponici, su questo penso che nessuno abbia niente da ridire. Sotto l’ala di Nintendo dette addirittura vita (Nintendo 64) all’unico multiplayer capace di battagliarsela ad armi pari con quel Mario Kart 64: nessun vinto, nessun vincitore, tutto in famiglia. Ma la sua famiglia d’origine era un’altra, quella Sega all’epoca ancora rivale, che li aveva visti compiere una serie di autentici miracoli sotto lo pseudonimo di Sonic Software Planning. Uno di questi si chiamava appunto Shining the Holy Ark (Sega Saturn). Non sono qui a parlarvi né di quel gioco né di quegli sviluppatori (li conosceremo da vicino in uno speciale de La Storia Siamo Noi) ma di un titolo in uscita su Nintendo DS che, partendo proprio da Shining the Holy Ark, promette di ricalcarne le orme, restituircene lo splendore e rinvendirne i fasti: Mazes of Fate.
Allora, un buon inizio è sempre un bicchiere di vino, nello specifico un Refosco dal peduncolo rosso.
E’ un buon inizio perché il foglio bianco è il foglio bianco.
Perché reinventare la ruota? Per tanti motivi. Uno è che tutti cercano di farlo. Persino in una misera cosa come creare un nuovo spazio dove si parli (anche) di videogiochi. Un altro è che -ci avviciniamo ad uno straccio d’argomentazione- anche i videogiochi lo fanno. Continuamente.
Passo sbadigliando davanti un figone fuori parametro, fresco reduce dalla prova di Bionic Commando, molto carino, molto binarione, (più bello in movimento che in foto ma non aspettatevi la megaproduzione Capcom perché non c’è), le chiedo dove sia Resident Evil, mi chiede cosa sia… Non c’era modo più indelicato per dirmi che non fosse in fiera, ma proprio mentre stavo per ripartire – bam! - lo sparo. Secco. A mezzo femore.
“Ci sono molte porte che si aprono su Fantàsia. Ci sono altri libri magici come questo. Molte persone li leggono senza rendersene conto.
Tutto dipende da chi tiene il libro.”
Avrei voluto inaugurare questa rubrica con qualche bella filippica dal tono saccente sul significato della parola “videogioco”, sulla sua inadeguatezza nell’Anno del Signore 2008, magari evitando menate “arte o non arte” che puzzano sempre di ridicolo, ma riuscendo sostanzialmente a convincervi che i videogiochi hanno una grande forza espressiva sopita o sottovalutata.