L’impero della mente - { Another Green World }
aries, Lunedì 25 Agosto 2008 @ 21:37

“Ci sono molte porte che si aprono su Fantàsia. Ci sono altri libri magici come questo. Molte persone li leggono senza rendersene conto.
Tutto dipende da chi tiene il libro.”

Avrei voluto inaugurare questa rubrica con qualche bella filippica dal tono saccente sul significato della parola “videogioco”, sulla sua inadeguatezza nell’Anno del Signore 2008, magari evitando menate “arte o non arte” che puzzano sempre di ridicolo, ma riuscendo sostanzialmente a convincervi che i videogiochi hanno una grande forza espressiva sopita o sottovalutata.

Avrei voluto puntare il dito contro il format “console”, che impedisce a qualsiasi software lontano dai canoni accademici del videogioco di trovare un pubblico diverso da quello che brucia il proprio stipendio/paghetta con PES e Smackdown, perché in fondo sulle console escono i giochini, chi le compra vuole i giochini e si aspetta di veder pubblicati i giochini, e tutto il resto è un simpatico extra da utilizzare al massimo per perculare un boxaro sul forum e sfoggiare un approccio cultural-sperimentale che garantisce un +1 in Reputazione.
Avrei voluto, ma mi è sembrato più adeguato cominciare dalle presentazioni[1], ed in ogni caso con l’espediente dell’”avrei voluto” ho già detto ciò che andava detto senza dover spendere 5000 caratteri in doverose argomentazioni.

Ho 24 anni e mi piace la creatività. Mi piace l’espressività, mi piacciono i progetti ben pensati, mi piace chi ha qualcosa da dire.
Reputo i videogiochi un prodotto della fantasia umana, che unisce nello stesso media caratteristiche proprie della pittura, del cinema, della musica, che a queste aggiunge l’interattività e che ha la possibilità di sfruttare queste potenzialità coralmente per rafforzare l’idea e l’esperienza. Potenzialità che per ora sono quasi sempre rimaste tali, ma di cui sono conscio e che non posso ignorare. I videogiochi sono l’impero della mente, un mondo a sé regolato da leggi proprie, sfera di dominio assoluto della nostra fantasia. Per questo valuto i videogiochi allo stesso modo con cui valuto qualsiasi altro prodotto della creatività pretendendo cose che spesso sono ritenute marginali o superflue. Se dicono qualcosa, dev’essere interessante. Se mi mostrano qualcosa dev’essere ben fatto. Se evocano qualcosa, pretendo dignità. E se vogliono divertirmi, devono essere divertenti.
Ho 24 anni, dicevo, e i giochini non mi bastano più. O forse non mi sono mai bastati. Non che non mi sia divertito a fare le bolle su Street Fighter o a centrare quella dannata AGSystems con lo shockwave, ma l’importanza del contesto e di ciò che quei giochi volevano comunicare oltre alle meccaniche di base l’ho sempre percepita. Non a caso giocavo con wipEout e non con F-Zero, insomma. Con l’età sono quindi cambiate la sensibilità e la capacità di giudizio, più che i bisogni.

Decenni di pseudo-critica videoludica ci hanno insegnato a valutare i giochi secondo la Sacra legge delle quattro voci[2], e discussioni infinite coi nintendari sui forum di mezzo mondo ci hanno piegato al dominio del gameplay. Si è cercato di dare una visione univoca del videogioco, una religione con tanto di dogmi e messia[3] vari, e il cui rifiuto porta all’eresia.
Questa rubrica cercherà, nel suo piccolo, di offrire un punto di vista diverso, secondo il quale il multiplayer di Gears of War 2 non è una prospettiva poi così allettante, su Motorstorm e Uncharted non vale la pena di spendere una parola e Oblivion fa terribilmente cagare con il suo ridicolo tentativo di esaudire senza il minimo sforzo creativo gli infantili sogni tolkeniani di un’utenza cresciuta a Manowar e schede del personaggio.
Un punto di vista che considera, oltre al gameplay, anche la profondità del coinvolgimento, la validità di un’idea, il talento messo in gioco per offrire un’esperienza di spessore al giocatore. Il divertimento, in fondo, è solo uno dei numerosi aspetti capaci di portare all’appagamento.
Anche per dei giochini.


Note

1. Mi si perdoni l’egocentrismo, ma in questa sede era doveroso un uso così marcato della prima persona.

2. Grafica, sonoro, giocabilità e longevità. Un sistema già obsoleto 15 anni fa, ma che ha gettato le basi per schemi mentali così solidi da riproporsi ancora oggi tra le pagine di molta stampa di settore, italiana o no.

3. Mario, Zelda, Miyamoto. Ma non solo.


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