Pone seram, cohibe, sed quis custodiet Snyder? - { Ai Margini presenta }
Esulo, Mercoledì 18 Marzo 2009 @ 17:18

Sì può vincere una partita persa? Per quanto riguarda Zack Snyder, la risposta è sì. Watchmen sul grande schermo è una partita che non si può nemmeno sognare di vincere. In partenza. Moore ti odierà nel momento in cui accetti l’incarico. Uno stuolo di fanboy brancolanti come zombie (ops, ho toccato un altro tasto dolente?!) non aspetta altro che vedere il film, per poter dire quanto sia sbagliato. In partenza, anche questa volta. Perché l’assoluta fedeltà richiesta prima della visione può diventare ugualmente la critica più affilata alla fine dei titoli di coda. Snyder ha perso, perché ha osato mettere mano dove la mano non andava messa. Un film di Watchmen è impossibile. Da 408 pagine di graphic novel d’annata trasudano una miriade di contenuti, di situazioni di piani di lettura e di riferimenti che a fatica riescono a stare tra le pagine: in effetti, paiono nascondersi e rivelarsi con parsimonia di lettura in lettura. Proprio qui risiede la sconfitta in cui si imbarca Snyder: Watchmen funziona -con la precisione meccanica di un orologio realizzato con amore dall’artigiano- solo nel suo medium.


Inumano pretendere di potere afferrare i riferimenti stipati nell’inusitata densità di ogni vignetta senza poter padroneggiare il tempo di fruizione dell’opera: il lettore, novello Dr. Manhattan appiattisce il tempo sui propri indici, svelando a se stesso con un cambio di pagina il senso rivelato da eventi così minuti, che nessuno avrebbe detto che siano davvero accaduti. Così, se la scoperta di quella faccia rossastra sotto una maschera in perenne mutamento si risolve in una forsennata rincorsa alle pagine precedenti, nella ricerca di quello stralunato pazzoide e il suo cartello, in sala può generare solo perplessità nello spettatore distratto, o al massimo gratificazione in quello più educato al medium, che finalmente trova risposta a quell’inquadratura al termine del funerale che non poteva fregare nessuno che avesse un minimo di esperienza con pellicola e proiettori.

Appurato dunque che la sconfitta era già inscritta nel semplice tentativo, come si può affermare che Snyder porti a casa un vittoria?! Si può perché, nonostante la gran quantità di difetti, il tutto funziona. Esatto, una gran quantità di difetti. Eppure tutti riconducibili a un’unica colpa: la semplificazione. E se si è tutti d’accordo che la cosa migliore da fare era lasciare Watchmen alle sue 408 pagine di delizia e gustarlo sul divano, con la sensazione di un Vascello Nero in attesa al termine del viaggio, è innegabile che l’anima nerd in noi non attendesse altro che passare tre ore in sala godendo e criticando. Considerato dunque che, pur rossi di vergogna, tutti noi candidamente accettiamo di aver istigato Snyder con la nostra pruriginosa pulsione nerdica, non si può che accettare la semplificazione come uno strumento capace di realizzarla.

Tuttavia, e qui divento critico anche io, un aspetto è eccessivamente toccato da questa necessaria piaga. La figura di Ozymandias, alias Adrian Veidt, filantropo e uomo più intelligente del pianeta, viene sgretolata della sua magnifica complessità, privata del retaggio di grandezza di Alessandro il macedone e ridotta a quella di un riccastro tronfio, vagamente benevolo con i conoscenti e ruvidamente stronzo col resto del pianeta. L’epicità di un piano sofferto, calcolato con patimento negli anni e realizzato per non imporre a nessun altro il pesante fardello di sangue essenziale per sopravvivenza della specie è necessariamente offuscata dalla trascuratezza con cui viene espresso il profondo amore verso l’umanità insito nell’animo del suo ideatore.

E della stessa semplificazione può essere tacciato il finale rimaneggiato, il quale però, sorprendentemente a mio avviso, funziona bene. Si incastra millimetricamente nella narrazione, anzi ne giustifica alcuni tagli e omissioni rispetto al cartaceo. Non si nega che manchi della forza visiva ed espressiva del calamaro psionico di Moore, e se da un lato si può criticare il timore nel non avere saputo -o voluto- osare una riproposizione fedele, dall’altra si deve ammettere che la paura di prostituzione intellettuale alle meccaniche hollywoodiane si sia rivelata decisamente infondata.

Seppure di critiche se ne possano muovere altre, che rimangono per ora in sospeso nell’attesa della director’s cut svincolata dagli obblighi di botteghino, bisogna soffermarsi sui due aspetti che più hanno ricevuto disapprovazione. Si tratta delle scene di combattimento e della scena di sesso. Nel primo caso è evidente la volontà del regista di imprimere una propria cifra stilistica, fatta di rallenty e bassi, in un’opera che si presenta in tutti gli altri aspetti, e per quanto sia possibile, come una venerazione dell’originale ispiratzio. E’ un cameo non recitato di Snyder, che al di là di questo aspetto si è concesso ben poche intromissioni nella narrazione, fatta eccezione per un dissacrante Alleluia sull’amplesso notturno del Gufo. Impossibilitato dal medium in suo possesso nel tessere la distruzione della virilità immaginata da Moore, Snyder sfrutta le potenzialità che lo stesso gli offre. Realizzando una scena che per impatto risulta forte quanto quella disegnata da Gibson nell’85, per quanto profondamente diversa da quella velatamente accennata al tempo. Ma tra l’amplesso cartaceo e quello di celluloide sono passati più di vent’anni, e se al tempo quella della graphic novel era la scena a sfondo sessuale più esplicita mai apparsa nei comic, riproporla allo stesso modo oggi non avrebbe conferito all’episodio nemmeno una briciola della forza di allora.

E allora, dopo averne giustificato i limiti, di cosa si può accusare il film? Di freddezza. Purtroppo questo è il limite più grande: l’estromissione di tutte le parti riguardante l’edicolante, il ragazzetto, le lesbiche e la vita dello psichiatra impedisce di raggiungere la piena empatia con le vicende di un pianeta in bilico tra il dominio nixoniano e il baratro dell’atomica.

Però Snyder la sua partita persa la vince. Perché ha osato metterci del suo, e se da qualche parte ha fallito (si veda la prima inutile scena), per buona parte del film invece, è riuscito ad aggiungere senza rovinare: la sequenza dei titoli di testa è azzeccatissima: un occhiolino ai fan da una parte e una sintesi utile alla comprensione degli eventi e alla contestualizzazione dall’altra.

Così come la cesura sulla barzelletta di Pagliacci è da applausi. E sipario.

Watchmen by Snyder, per necessità commerciali e produttive prima di tutto, decide di soffermarsi sulla vena supereroistica della novella, e da quel punto di vista non sbaglia nulla. Presenta personaggi tridimensionali (con l’eccezione già trattata), benché dipinti con poche e rapide pennellate, inquadrabili nella loro complessità a tuttotondo anche da chi non ha mai sfogliato il volume in fumetteria. Riesce poi in quella che era davvero un’impresa titanica: operare tagli chirurgici per incastrare nella durata di un film (anzi, di un blockbuster dal budget multimilionario) una vicenda intricata e ripiegata su se stessa. Eppure il filo di eventi, le dinamiche di causa ed effetto, i piccoli dettagli che conducono a grandi tragedie sono tutti comprensibili, così com’è perfettamente afferrabile il quadro generale. A patto, ovviamente, di ripagare lo sforzo di Snyder alla causa (persa) con una buona dose di attenzione. Questo è il pregio più grande del film, mutuato fortunatamente dall’originale: la costrizione a pensare. Watchmen non si può subire, si deve elaborare e masticare con le meningi; si deve portare il cervello a uno sforzo che godrà di una ricompensa di altissimo valore.

E quasi in sordina propone un’opera che per il cinema può avere la forza di rottura avuta nell’industria dei comics 20 anni fa. Se da allora non c’è più stato bisogno di una netta demarcazione tra cattivi e buoni per raccontare una storia, buona parte del merito lo si deve ad Alan Moore. Così, se un domani si assisterà a un blockbuster di Hollywood dove il trionfo finale spetta al cattivo con tanto di giustificazione morale condivisibile dallo spettatore, un pensiero a chi per primo lo ha osato sarà dovuto.

MaGiKLauDe


1 commento a “Pone seram, cohibe, sed quis custodiet Snyder?”

  1. aries

    Io non ho ancora né letto il fumetto né visto il film, e per non avere spoiler non ho nemmeno letto la rece. Sento che qualcuno non sarà affatto d’accordo :D Per gli insulti, venite nell’Agorà.

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