Nuovo di nuovo: dall’indie game alla pixel art. Prospettiva della retroestetica. - { Il mondo da un oblò, La Tana del Topo }
mauz, Giovedì 28 Agosto 2008 @ 19:10

Il mio vecchio maestro cinese diceva sempre che a cominciare con un esempio si fa molto prima[1]. E allora facciamolo.

OmniLudiCon è un concept semplicissimo. Eppure incarna in sé buona parte di quello di cui voglio parlare oggi: ha uno stile retrò (MOLTO retrò), è gratuito, assolutamente cross-platform (gira sui browser) e –soprattutto- è un editor di giochi (o meglio, di minigiochi. Meglio ancora, di collezioni di minigiochi) che permette di condividere le proprie creazioni con gli altri utenti.
Insomma, non fa niente di nuovo, ma lo fa bene e lo fa in fretta, è indie ed è retro. Grazie Zaratustra Productions per avermi risolto il problema dell’apertura[2].

Vabbè, torniamo a noi.
Cos’è l’indie gaming, e perché è interessante? Brevemente, perché tanto su wikipedia siete capaci di andare tutti: si definisce indie un gioco prodotto da un team senza il supporto di un publisher. Ed è interessante non tanto per sé[3], quanto per il fatto che per forza di cose (o per una fortunata combinazione, non ci interessa) nasce da quello stesso substrato culturale da cui –negli anni ’80- è emerso il videogioco moderno.
La sostanza è che (almeno in teoria) il gioco indipendente consegna nelle mani del giocatore il prodotto così com’è stato pensato (o perlomeno realizzato) dal team di sviluppo, senza passare dal filtro del publisher, del reparto marketing del publisher e tramite tutti quei passaggi che tendono ad appiattire e/o uniformare un titolo per renderlo spendibile sul mercato[4].

Appurato dove e in cosa (per me) è interessante la scena del gioco indipendente, inevitabilmente l’assenza di un publisher significa progetti che nascono e crescono in cronica mancanza di fondi, particolare non da poco. E qui arriviamo rapidamente all’altro punto: proprio per questo motivo, la maggior parte dei giochi indipendenti sono A) progetti piccoli, e B) progetti piccoli con una spiccata estetica retrò[5].

Il che mi permette felicemente di introdurre quello che è stato l’emblema e la fonte d’ispirazione del gioco indipendente moderno[6]: Cave Story.

Cave Story (in originale Doukutsu Monotagari) nasce nel 2004 (dopo una gestazione durata 5 anni) per mano di Pixel, al secolo Daisuke Amaya: uno studente giapponese che -inconsapevole della bomba che avrebbe tirato- un giorno semplicemente si disse “perché non provare a fare un gioco?”
E’ inutile dire di più su questo titolo: siccome è freeware, gira sotto windows, mac, linux (e presto pare anche su ds) non posso che consigliarvi di giocarlo[7], e pensare come tutto questo sia stato realizzato da una persona sola, dalla musica alla programmazione, passando per la (splendida nella sua semplicità) pixel art. L’unico altro one man project altrettanto riuscito che mi viene in mente è Another World, non a caso un capolavoro in grado di proiettarti ancora oggi, a distanza di anni, in un universo magico, e di riconciliarti con il videogioco.

E siccome -quasi per caso- introduco il termine pixel art, ne approfitto per un’altra digressione introduttiva.
La pixel art potrebbe essere (con un po’ di arroganza forse) considerata la vera espressione artistica post-moderna[8].
Di natura palesemente derivativa, nasce da esigenze tecniche: realizzare sprite, background e tileset per i giochi, ma –pur rimanendo legata a doppia mandata con il gioco indipendente- diventa rapidamente una forma espressiva a sé, con un fortissimo seguito, ma non distaccandosi mai completamente dall’underground. Sempre dovuti alla natura derivativa di cui sopra, nascono presto progetti artistici come isocity, portfolio in forma di città virtuale, figlio di un’estetica da videogioco eighties.

Per evitare di ammorbarvi ulteriormente e di infrangere chissà quanti copyright, chiudo la digressione con qualche link interessante (parziale e in ordine sparso, ma grazie alle magie interattive del web, potrete partire da qui e non finire mai) per approfondire la pixel art:

Pixeljoint
Isocity
Kekskiller gallery su DeviantArt
Art forum su TIGsource
Eboy

Torniamo quindi al nostro gioco indipendente, con un breve (e sempre parziale e sempre in ordine sparso) elenco di progetti che ho ritenuto particolarmente meritevoli d’attenzione:

Dwarf Fortress è un gioco indipendente tanto imponente e affascinante quanto ostico e –proprio per questo- merita un approfondimento particolare.

Il gioco è completamente realizzato in ASCII art[9], ed ambientato in un (enorme) mondo persistente generato a random a inizio partita, superata questa fase, si divide in quattro (o meglio, tre e mezzo) modalità:
- adventure mode: una modalità roguelike[10] in cui si esplorano mondo e dungeon, si risolvono quest, si raccolgono tesori e –eventualmente- si scoprono leggende (che vedremo dopo).
- Dwarf fortress mode: in quella che viene considerata la modalità principale del titolo, al comando di un valoroso manipolo di nani (all’inizio sono sette) si sceglie un punto adatto della mappa e si inizia a costruire una fortezza, cercando di sopravvivere. Da questa modalità si dipana la modalità successiva…
- Reclaim fortress mode: Al comando di un gruppo di nani guerrieri si cercherà di riconquistare una fortezza abbandonata o persa in una partita precedente.
- Legend mode: la “mezza” modalità di cui parlavo prima, qui si possono leggere e ottenere ulteriori informazioni sulle leggende scoperte durante il gioco.

Come dicevo è un gioco ostico, cerebrale, e la maggior parte delle persone non avrà neanche la costanza di imparare a giocare (per rendere l’idea è stato creato un wiki appositamente per lui, con informazioni e strategie base), anche a causa dell’impatto con una grafica in sostanza inesistente e dell’interfaccia -ad usare un eufemismo- poco intuitiva.
E’ anche -però- un esempio di gioco che non avrebbe potuto uscire che da quel sottobosco creativo di cui parlavo sopra, pregi e difetti annessi, e che (riallacciandomi al discorso fatto nella tana del topo precedente) difficilmente avrebbe potuto essere realizzato con un motore tecnologicamente al passo coi tempi. Basta uno sguardo alla mappa di gioco (qui un esempio) per capire che sarebbe un’impresa titanica da realizzare, e che il gioco non poteva che funzionare iconicamente.

Fez, il prossimo gioco di cui vorrei parlare è molto più semplice –per fortuna- da descrivere.
Un po’ Super Paper Mario, un po’ Ecochrome, un po’ Nebulus, e retrò fino al midollo. Questo titolo mi ha conquistato dalla prima immagine (dovrebbe apparire qui da qualche parte) che ne ho visto, quando era ancora un concept completamente bidimensionale.

Attualmente  alla ricerca di un publisher, pare abbia spopolato alla GDC ’08, e si è portato a casa il premio Excellence In Visual Art all’ultimo Indipendent Games Festival.
Risparmio caratteri e vi lascio con un trailer del gioco, raccomandandovi di seguirlo, soprattutto considerato che si ventila la possibilità che appaia su XBLA e/o PSN.

Love invece, viene descritto dal suo autore (un pazzo svedese di nome Eskil Steenberg) come “First person not so massively multi player online procedural adventure game”, ed è attualmente in via di sviluppo.
La cosa interessante è che pare andare in antitesi agli altri MMO (ma più in generale alla maggior parte dei giochi), ed essere orientato alla creazione piuttosto che alla distruzione, ed alla relazione e collaborazione fra i giocatori (volutamente limitati un massimo di 200 per server, in modo da creare delle community più coese) piuttosto che alla competizione.

Dovrebbe comprendere un complesso sistema di modifica del terreno, e costruzione di edifici tramite un sistema di “token” che saranno acquisiti dal giocatore in modo non meglio specificato. Pare che gli altri giocatori possano aggregarsi e collaborare alla costruzione degli edifici, fino a formare delle vere e proprie colonie, che potranno poi essere interconnesse fra loro.
Uso il condizionale per tutto il paragrafo, perché sul sito la release date riportata è: quando è pronto.
Quindi c’è buona probabilità che sia uno degli innumerevoli progetti che cadono nel nulla, ma se non altro per lo stile grafico e l’intenzione di fare qualcosa di nuovo, merita di seguirne lo sviluppo.
Va fatto notare che il gioco pare avere più punti di contatto con blockland, che –in sostanza- è il lego online.

Nelly Cootalot è un delizioso adventure freeware che non può mancare nella collezione dei nostalgici di Monkey Island e del periodo d’oro delle avventure punta e clicca, realizzato da Alasdair Beckett per omaggiare la sua fidanzata.

Nonostante sia piuttosto breve, grazie agli interessanti enigmi ed ai dialoghi brillanti, ha saputo ritagliarsi subito un posto nel cuore degli appassionati, e merita decisamente il tempo impiegato a scaricare i suoi 20 mega.

Su Knytt Stories credo non ci sia molto da dire, lo conoscono più o meno tutti, e chi non lo conosce si vergogni e vada a giocarlo.

Va bene, siccome mi è stato espressamente richiesto da Aries, due parole su Knytt Stories le spendo: è il seguito di Knytt, gioco di piattaforme semplice, ma con un approccio quasi zen all’esplorazione e al puzzle solving, difficile non rimanere incantati di fronte alla (pur semplicissima) delizia grafica che Nifflas (autore del gioco) mette a schermo, e sempre riallacciandomi al mio precedente articolo, è un’ottima dimostrazione (assieme a cave story, e a molti dei più bei pixel platform) che non è sempre necessario che le meccaniche di gioco si evolvano assieme alla tecnologia visiva, perchè capita (come in questo caso) che alcuni dei migliori pezzi di intrattenimento della storia del videogioco funzionino e rasentino (lo dico) l’arte proprio basandosi su uno dei dogmi più abusati: keep things simple.
Certo, di Nifflas e di Pixel (o di Eric Chai) non ce ne sono tanti, ma quei pochi che ci sono non li ringrazieremo mai abbastanza.
Andate e giocatene tutti.

Menzione d’onore per Chalk, uno shoot’em up freeware basato sul concetto della lavagna (!), dove invece di sparare ai nemici, si dovrà disegnare col gessetto delle linee per distruggerli, o rimandargli indietro i colpi.

Anche lui è più facile da capire da un video che da descrivere:

Per concludere, specifico che –ovviamente- questa non può che essere una misera (condi)visione di quello che mi ha colpito nel vastissimo e variegato panorama del gioco indipendente. Spero che quest’articolo non sia risultato troppo noioso, e che sia  servito perlomeno a farvi venire curiosità per l’argomento.

Chiudo definitivamente con la promessa (o la minaccia) di continuare a tenervi aggiornati sul mondo dell’indie gaming, e con alcuni link utili per continuare il percorso:

I migliori indie game secondo TigSource
Indie games for dummies, una lista incompleta degli indie game, dai forum di TigSource
Varie liste per dei migliori, divisi per genere secondo Indipendent Gaming
Freehare, altra raccolta di giochi freeware


Note bontà mia stavolta ve le metto a carattere normale, visto che ci sono dei link da cliccare.

1. Non è vero.

2. Quasi mi dimenticavo: quest’articolo rende meglio accompagnato da un Dolcetto di Dogliani novello, chiaramente di produzione artigianale.

3. Beh, anche per sé, valutando sul singolo. Intendo dire che non è interessante solo in quanto indie, che ne determina esclusivamente l’estrazione culturale, non necessariamente la qualità. E’ un inciso inutile, lo so, ma amo mettere le note, è più forte di me.

4. Va da sé che ci sono anche casi in cui l’intervento del publisher migliora la qualità di un gioco, ma –e ci sarebbe da scriverci un articolo sull’argomento- la figura del publisher purtroppo è più vicina a quella della produzione nel cinema, che a quella dell’editor nella narrativa.

5. Di necessità virtù, si è creata come diretta conseguenza una viscerale passione all’interno della scena indipendente per l’estetica retrò, arrivando ad estremi di gente che realizza giochi che gireranno su computer moderni, auto-limitandosi –per fare un esempio-  alle specifiche tecniche del NES, in una sorta di esercizio di stile.

6. La distinzione temporale è mia, ergo ad alta probabilità d’essere una cazzata.

7. Qui trovate tutto quello che vi serve per fare capolino nel magico mondo dell’indie gaming.
Mentre qui trovate una piacevole intervista a Pixel.

8. Minghia.

9. In realtà, un benemerito ha realizzato una mod che –pur restando nel minimalista- aggiunge della grafica vera e propria al gioco, chi fosse interessato la trova qui.

10. Per roguelike si intende quel genere di giochi derivati da Rogue (1980), il cui esponente più famoso è diablo.


2 commenti a “Nuovo di nuovo: dall’indie game alla pixel art. Prospettiva della retroestetica.”

  1. LPf

    Alla GC c’era un pacco di codesta roba e un platform, in particolare, che calamitava un certo interesse. Stavo per farci un salto quando vedo lì di fianco l’apoteosi del retrogaming, fra cabinati, console e homecomputer, nonché due postazioni di Dreamcast con un puzzle in dimostrazione che non ho neanche capito se fosse d’imminente pubblicazione (?) o roba indie (ma non ne aveva l’aria, visto il pop che lo circondava). Nemmeno mi son potuto fermare lì che m’ha suonato il cellulare. A dirla tutta non ho potuto vedere tutto quello che c’era in fiera, figuriamoci la roba ai margini. Un autentico peccato, ma tre giorni son davvero pochi…

  2. mauZ

    Capace che il platform fosse proprio Fez, che pare stia riscuotendo (non saprei se è un bene o un male, immagino che dipenda dal punto di vista) un grosso successo dovunque venga presentato. In effetti è delizioso a vedersi e le meccaniche sono sufficientemente semplici ed intriganti da catturare l’attenzione a tutti i livelli.
    Come dicevo nell’articolo, aspettati di vederlo apparire sull’XBLA presto o tardi.

Lascia un commento

Devi accedere come redattore per lasciare un commento.