Il vecchio e il (video)gioco - { Il mondo da un oblò }
Peppebar, Mercoledì 16 Febbraio 2011 @ 11:37

Ho bisogno di aiuto. C’è qualcosa che non va in me. Prima era solo una sensazione, trasformatasi poi in un tarlo, che via via è diventato sempre più insistente, ingombrante, fino alla consapevolezza totale.
Mi piacciono i videogiochi. Adoro leggere libri e fumetti, ma mai quanto giocare. Guardo qualche film e seguo sporadicamente qualche serie tv, ma in linea di massima considero sprecato il tempo passato davanti al televisore che non sia stato speso per giocare o, in misura minore, per guardare una partita di calcio.

I videogiochi sono il mio hobby preferito, anche se “passatempo” non è una parola che rende completamente l’idea della mia considerazione verso di loro. Sono una vera e propria passione, che incendia il mio tempo libero e brucia sempre con la stessa intensità.
Non c’è niente di male, penserete. Sei un ragazzo come tanti altri, con passioni comuni a quelle della maggioranza dei ragazzi moderni. Forse nella tua giornata ci dovrebbe essere un po’ di spazio per una ragazza e qualche sigaretta, ma c’è tempo, arriveranno anche quelle.

Il fatto è che non sono più un ragazzo da un bel po’ di tempo, ormai. Mi sono lasciato alle spalle i venti, i trenta e persino i quaranta. I videogiochi non dovrebbero più far parte della mia vita in modo così morboso. Me ne accorgo ogni giorno. Vedo capannelli di adolescenti che parlano di scuola e Pes, di quante kill abbiano fatto nell’ultimo Cod e della ragazza di stasera.
E i miei coetanei? Non parlano più di videogiochi. Anche quelli con cui ho condiviso tanti pomeriggi sul C64 e sull’Amiga, a litigare e bestemmiare. Qualcuno ha messo a frutto la propria passione diventando grafico pubblicitario, qualcuno si occupa di siti web. Altri sono diventati commercialisti, o geometri, o impiegati. I videogiochi occupano solo una misera frazione del loro tempo, o sono spariti del tutto.

Io invece non riesco a fare mia l’idea di smettere di giocare. Mi ritrovo a pensare a quanto desideri che finisca la giornata di lavoro per tornare a casa e sedermi davanti alla mia console. Mi emoziono quando scarto un gioco nuovo, ammiro le figure colorate, leggo avidamente il libretto di istruzioni, anche se quella confezione trasuda molta meno magia rispetto a quelle di una volta, anche se il gioco non sarà tanto diverso da tutti gli altri che ho già giocato. Voglio con tutte le mie forze che questa situazione non cambi neanche fra vent’anni, così come lo volevo vent’anni fa, quando il futuro dei videogiochi appariva incerto e nebuloso ed era inconcepibile pensare di avere ancora voglia di dilettarsi con i giochini a quarant’anni.

Ma la prova definitiva che in me c’è qualcosa di sbagliato l’ho avuta leggendo le solite classifiche di fine anno di qualche settimana fa. Ho scoperto con terrore di essere uno dei pochi che gioca ancora assiduamente, per il piacere di giocare. Un esemplare quasi unico.
Gente che una volta avrebbe fatto a pugni se si fosse parlato male di Sega o di Nintendo ha ammesso candidamente di aver giocato due, forse tre giochi. Qualcuno si è rifugiato negli indie, esaltandosi e trovando in quei quattro pixel che si rincorrono sullo schermo delle sensazioni che io non riesco a trovare, in qualunque modo li guardi. Qualcuno non è riuscito a staccarsi dai portatili. Qualcuno semplicemente non ha giocato nulla e ha ammesso che la situazione non cambierà in futuro. Io guardo la lista dei giochi che si sono alternati nel mio lettore ed ha la lunghezza di sempre, se non di più.
Perciò scusate, coetanei miei. Scusate se non riesco a guardare con sufficienza i videogiochi moderni. Scusate se affermo che la mia voglia di giocare è la stessa, cristallina, di venti anni fa. Scusate se vi guardo come alieni quando dite che voi l’avete persa. Scusatemi. Ed aiutatemi. Ad essere un quarantenne normale.


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