Mass Effect 2 non c’entra quasi nulla con il primo. La fratellanza interstellare passa in secondo piano. L’umanità ha portato il caos nel cosmo. I rapporti ora si basano su contratti. Su impegni da sbrigare anche se non se ne ha voglia. Perché l’universo è ancora in pericolo e non importa che tu sia capitalista o comunista. Qualcosa da proteggere ce l’hai comunque. Fosse anche la pellaccia. E qua qualche dubbio ce lo poniamo. Perché l’inizio è frettoloso. Non indaga. Non si questiona sull’etica. Forse ci sarà tempo dopo. Ma la splendida introduzione è solo visuale e davvero poco concettuale.
Il seguito è una corsa contro il tempo. D’altronde eravamo pronti già da un paio d’anni a seguire la strada che l’universo ci aveva steso di fronte. Una linea impeccabile ci conduce dal primo al secondo Mass Effect, che mantiene la dualità umana pur concedendo alle altre razze una ingenuità che un essere capace di astrazione non avrebbe mai. Si chiama la Star Trek. La metafora stellare. Quando butta male porta ad Avatar, quando butta bene a Mass Effect 2.
E butta bene. Perché è una saga fantascientifica. E a giro ce ne sono poche. E ha degli spunti inimitabili, nonostante le forzature e qualche caduta di stile, e anche di questi si sente carenza di questi tempi. Ma ci hanno tolto il Mako, il capo è un bastardo che meriterebbe solo dei calci nel deretano e i nostri amici ci hanno abbandonato come succede quando la gente si sposa e non ha più bisogno di appoggi esterni. Nessuno ne capisce il motivo. Lo chiamano crescere. Si chiama rinuncia. Certo, possiamo supporre che abbiano compiti altri e che ci raggiungeranno in futuro. Possiamo far finta di credere che qualche scartoffia valga il tradimento. Possiamo tacere perché in futuro torneranno strisciando ai nostri piedi. Ma la rivangata nel passato, messaggi e subquest escluse, non è certo la parte migliore di questo secondo capitolo. Anzi.
E ribadisco sul Mako. L’indipendenza è stata sradicata, per quanto giustificato dalla trama e di questo siamo grati, ma ci ha dato la sicurezza che Bioware non abbia alcuna intenzione di puntare alla libertà. Eppure come utenti, come esterni, come deus ex machina non possiamo fare altro che notare che una delle componenti più interessanti, per quanto mal sviluppate, è stata strappata come una gamba in cancrena.
Non possiamo che rammaricarci perché siamo andati vicini tanto cosi ad avere un’esplorazione che non sia un sandbox gretto e vuoto come capita sempre più spesso. O meglio. Ora non abbiamo nemmeno più il problema. Non avremo nemmeno il sandbox. In cambio ci hanno regalato un sistema di combattimento degno di questo nome. Omini che schizzano via. Scene di panico. Raggi luminosi. Bombe atomiche. E nessun ramaiolo che nessuno lo vuole dire ma quelli di LFD l’han copiato da Demoni come quelli di Dead Rising. Comunque un po’ di azione sensata era dovuto. Perché noi la fiducia gli s’è data. Ci siamo puppati il meglio del primo facendo finta che i combattimenti fossero divertenti. Ma loro ci hanno dato indietro delle armature slavate. E si nasa che era sufficiente studiare un po’ meglio i primi piani e piantarsi sul metro di distanza per avere tutt’altra resa. E poi parecchi bivi restano i soliti. Contestuali. Molto più importanti per il prossimo capitolo a questo giro. Ma apprezziamo il recupero di un qualche porzione di gioco di ruolo e qualche missione causale come accade per la Asari col pollice verde et similia. Anche se in buona parte le scelte hanno solo ricadute cross title. Per obbligare all’acquisto del prossimo forse, visto che anche i bivi del primo sembra che avranno conseguenze reali solo nel terzo per essere appena citati in questo. O forse perché è più facile agire su macrobivi da tenere per gli inizi e i finali, per risparmiarsi un po’ di lavoro sulla parte centrale e tenere il resto dello spazio per i dialoghi. Certo c’è da dire che alcuni dialoghi se lo meritano. Non tutti. Non sempre. Perché alcuni personaggi sono solo contorno. E dispiace. Ma fa tutto questo parte della nuova formula Bioware. E non c’è modo di cambiare le cose.
Poi arriva il commento in cui tutte le critiche si attenuano e la delusione in qualche modo scema davanti alla fusione di Blade Runner, Wing Commander, Battlestar Galactica e mille altre esperienze. Un pentolone ben più ricco di quello precedente, e per questo un po’ più limitato, ma che riesce a mantenere una coerenza superiore, nonostante i vorciakz.
Basta far finta che i nuovi alieni non siano i mostri di Half Life 2 o che servissero 200 roiti posticci per arricchire le balconate di Nos Astra, basta pensare che togliere gli oggetti inutili volesse dire anche togliere le armature ai nostri compagni per farli andare in giro nudi ed è sufficiente credere che una plastica a Shepard possa valere svariati triliardi di crediti ed è fatta. Perché per il resto non serve far finta. È tutto a schermo. E quelle texture slavate sono solo uno dei risparmi applicati per ingigantire l’esperienza. E alla fine per nascondere gli altri risparmi e godersi la summa dei bivi, delle scelte e dei drammi, le viste, i detriti, i monitor che si accendono, le pubblicità, i visori, i modelli strepitosi, le reazioni dei personaggi gli uni agli altri e all’ambiente e tutta quella serie di conseguenze di corsa sul finale, forse un pelo scriptate ma coinvolgenti e tue, ti accorgi che ne vale pure la pena.
Ne vale la pena perché Mass Effect non è sempre il massimo, forse non è nemmeno GDR, anche se non sono certo una scheda e qualche livello a fare un GDR, ma è unico, gradasso, spaziale, sessualmente attivo, fotonico, protonico e maccheronico (i traduttori dovrebbero regalarmi lo stipendio e partire per la Siberia volontariamente) ed Elite IV si dà ormai per disperso da diversi anni.
Ginko
Che il rapporto d’amore/odio con il brand Bioware dovesse continuare il suo travagliato percorso anche nel secondo titolo della saga lo si era capito da subito. La premessa narrativa è alquanto bislacca e le innovazioni nel gameplay, per quanto rivelatrici di una positiva volontà di mettersi in discussione, non possono che far storcere il naso. Ma oramai l’amo è stato gettato, e noi cosmonauti d’antan non possiamo sottrarci all’avventura, pur con la consapevolezza che, di tanto in tanto, sarà necessario tapparsi il naso (e non solo per i rivoli di sangue stile Muten alla vista degli argomenti della co-protagonista).
Non badate a quello che viene detto in giro – oddio, non che abbia letto qualche recensione, ma conosco i miei polli –, vale la pena di giocare a Mass Effect 2 solamente se avete portato a termine l’1, meglio ancora se avete ancora a disposizione il salvataggio. Sì, sì, teoricamente potete godervelo anche senza, ma chi ha schifato l’1 non potrà amare questo seguito, e i collegamenti col predecessore sono così numerosi, seppur sottili, che non vale la pena privarsene. Stessa cosa succederà col terzo episodio, in cui – presumibilmente – i percorsi intrapresi in Mass Effect 2 determineranno ancor più pesantemente lo sviluppo della trama. Torna infatti, pressoché inalterato ma con conseguenze ancora più marcate, il sistema di dialoghi a opzione multipla, con la possibilità di interpretare il fesso bonaccione, il bastardo costantemente inopportuno o l’ignavo incapace di livellare le due statistiche morali. Purtroppo le alternative si riducono a questo, si interpreta un ruolo prescritto e lo si segue per tutta l’avventura, poiché scegliere una risposta neutrale rimane sconveniente e porta quasi sempre a conseguenze differenti da quelle preventivate. La narrazione si fa ancora più episodica, prendendo in prestito non poche idee dai nuovi serial televisivi alla Lost, soprattutto per quanto riguarda le sottotrame dei personaggi secondari, alcuni dei quali davvero ben caratterizzati. Fanno storcere il naso però alcune scelte operate da Bioware circa il cast dei personaggi già trattati nel prequel.
Molto è stato cambiato anche dal punto di vista del gameplay, tant’è vero che, arrivando fresco da Mass Effect, il primo impatto è stato spiazzante: niente inventario, niente salute, radar scomparso, una gestione delle munizioni che si fa fatica a comprendere. Tutto questo pandemonio per sistemare un combat system che, almeno nella sua versione PC, non mi sembrava necessitasse di chissà quali migliorie: sì, ora è più bellino e le coperture sono indispensabili (forse troppo, vederne una significa sapere che si verrà attaccati), ma dover fare il saccheggiatore di cadaveri per rifocillarsi continuamente di munizioni non è molto gratificante, il tasto unico per correre e ripararsi crea qualche problema e, per via dei rinnovati scudi ai nemici, l’efficacia degli attacchi biotici è stata notevolmente ridimensionata.
Eliminato invece il Mako, fonte di imbarazzante derisione, subentra un nuovo sistema di scansione dei pianeti attraverso sonde in grado di recuperare minerali (necessari per i vari upgrade che sostituiscono quello che nel primo Mass Effect era il principale fastidio, l’inventario) e permettere l’atterraggio direttamente nelle zone sensibili. Curioso al primo pianeta da scansire, tedioso dal secondo, insopportabile quando ci si rende conto che per esaurire le risorse di un pianeta ricco è necessario sondare una quindicina di volte la superficie.
Nel complesso il gioco scorre piuttosto liscio, tra bug e caricamenti interminabili, metariferimenti e sequenze FMV peggiori delle scene in-game, ma l’impressione è che si sia voluto cambiare il più possibile per stupire giornalisti e giocatori senza davvero calibrare a dovere le modifiche.
Dal punto di vista del linguaggio, Mass Effect 2 spinge ulteriormente – com’era prevedibile – verso quell’epicità che aveva rappresentato la metà meno convincente – dal mio punto di vista, perlomeno – del primo episodio. Tornano i discorsoni e le pose da duro del capitano, che scalcia i cagnacci dalla navicella e fa la voce profonda quando vuol copulare con le compagne di equipaggio. Torna l’ahimé immancabile orchestra a sottolineare le vicende narrate, che, come gli impediti del liceo che eran più le parti sottolineate di quelle libere, alla fine diventa un poltiglione cinematografico totalmente anonimo e con un uso di synth limitatissimo in cui non si distinguono i brani (ad eccezione del tema del night club su Omega, l’Afterlife). Persino il coraggioso ending theme dell’1, un pezzo di otto minuti dalle tinte new wave assolutamente originale in una scena videoludica dove dal pop/rock si riesce a pescare giusto Leona Lewis, viene sostituito da una qualche composizione presa casualmente dall’archivio dei trailer cinematografici hollywoodiani.
La sensazione di sci-fi seventies del primo episodio lascia spazio a una visione del futuro più – banalmente – contemporanea, con nemici organici e mostruosi un po’ alla Giger, intrecci di cavi e lamiere, tante luci al neon direttamente dalla Los Angeles del 2019 (con le sequenze dello spinner palesemente citate in alcune inquadrature) e tanto, tanto Star Wars nuova trilogia. Il tutto incorniciato da un design grafico ridicolo e obsoleto – fermo ai glow arancio su angoli a 45° e alle inutili tonnellate di specifiche tecniche incomprensibili e sgraziate – che si presta a un’altrettanto ridicola interfaccia grafica (così ottimizzata su PC che a una risoluzione di 1920px tocca scrollare per leggere un testo di tre righe).
Ma oltre all’odio c’è l’amore. Perché Mass Effect 2 ti trascina di peso in un’avventura spaziale estremamente coinvolgente (ottimo l’espediente delle tresche amorose per incentivare l’interesse verso i compagni di viaggio), realizza il sogno di qualsiasi bimbo dalla fantasia funzionante di esplorare una galassia con tanto di mappe interstellari e pianeti da perlustrare, trasporta in un mondo affascinante, con razze ben descritte, personaggi approfonditi e dinamiche sociali interessanti, il tutto attraverso un impianto ludico divertente e gratificante. E, una volta appuntata sul petto la spilla del comandante Shepard, non si può che proseguire con orgoglio nella missione affidataci.
Aries Shepard
Discuti di Mass Effect 2 nell’Agorà. Gli spoiler sono nascosti col colore giallo.