La mia giovinezza in un sotterraneo - { Curia, Riesami }
Peppebar, Lunedì 22 Giugno 2009 @ 12:19

Questa non è una retrorecensione o una spolverata sulle ragnatele di un gioco della preistoria videoludica.
È semplicemente un ringraziamento, un atto d’amore se preferite, di un uomo verso un gioco che lo ha legato indissolubilmente ad un genere, gli RPG su computer, che prima di esso non sapeva neanche esistessero e che dopo di esso non sarebbero più stati la stessa cosa.
Certo un giocatore che ha dedicato 200-300 ore della sua vita ad Oblivion sorriderebbe se si trovasse davanti Dungeon Master, salvo poi vedere trasformato in un’ espressione di sgomento il suo sorriso davanti ai diabolici enigmi che il gioco proponeva. È molta la gratitudine che ogni RPG su computer deve tributare al titolo degli FTL, forse anche qualcosa in più, visto che probabilmente senza Dungeon Master non si sarebbero raggiunti i picchi di perfezione e immedesimazione che abbiamo oggi.

A vederlo adesso, soprattutto uno che all’epoca lo ha adorato, c’è da mettersi le mani nei capelli: “come diavolo facevo a giocare questa roba?”.
Niente orizzonti sconfinati, niente alternanza fra notte e giorno, nessuna armatura lucida, perfino del nostro party non c’era traccia non fosse stato per dei mezzibusti nella parte alta dello schermo.
Una volta partiti, però, basta poco per ritrovare i vecchi automatismi. Resurrect or reincarnate, Novice, Apprentice, Journeyman, Lo Vi, Ee Ful Ir, Falchion e Wooden Shield, tutti termini e “sensazioni” della partita che sembra di aver sospeso ieri e invece sono passati 20 anni.
Bisogna riconoscere che i Faster Than Light fecero proprio un ottimo lavoro. Gli RPG avevano già fatto capolino su computer, intuendo le potenzialità di questo mezzo in sede di calcolo di statistiche e probabilità, i famosi dadi a 6-8-10 facce e i tiri salvezza che caratterizzavano le produzioni dell’epoca. C’erano i primi Ultima, la serie molto apprezzata di Bard’s Tale, prodotti che oggi potremmo definire “hardcore”, in quanto esigevano una profonda e pressochè totale dedizione.
Usando lo stesso metro, DM potrebbe essere definito “casual”, almeno per la concezione che si aveva allora degli RPG. Non bisognava leggere manuali di istruzioni spessi quanto un elenco telefonico e le sezioni di combattimento venivano gestite in tempo reale.
Il gioco si presentava con un’avveniristica (per l’epoca) visuale in prima persona, cosa che garantiva un coinvolgimento eccezionale. Vi assicuro che assistere alla porta del dungeon che si apriva per inghiottirci ed aggirarsi per quel labirinto di muri era una sensazione eccitante ma che allo stesso tempo incuteva timore… chissà cosa si annidava nei sotterranei di quella prigione!

Dungeon Master era atipico anche in sede di creazione del party, perchè invece di una sequenza di tiri di dadi per determinare le nostre abilità gli sviluppatori avevano scelto una strada che consentiva meno personalizzazione ma che era infinitamente più suggestiva.
Entravamo nel sotterraneo nei panni eterei di uno spirito, senza alcuna possibilità di azione che non fosse quella di vagare per le primissime stanze del labirinto, almeno fin quando non si arrivava nella “Hall Of Champions”, una sezione del labirinto molto particolare… ci si accorgeva subito che qui c’era qualcosa di speciale, si “sentiva” la presenza di qualcuno, anche se apparentemente eravamo soli.
I muri di questa sezione erano tappezzati di quadri, che racchiudevano le anime di tutti gli avventurieri che avevano visitato il labirinto prima di noi. Era inquietante guardare oltre la cornice e vedere i volti di queste creature che ci fissavano, quasi supplicandoci di liberarli. Con un clic potevamo renderci conto delle loro caratteristiche e giudicare se fossero adatti ad entrare nel nostro party, con il passo successivo di rispondere alla fatidica domanda: “Resurrect or reincarnate?”. Far risorgere un personaggio significava riportarlo in vita con le stesse caratteristiche che aveva al momento della morte, mentre reincarnandolo manteneva l’orientamento della classe di appartenenza partendo da zero, così da poterci ritrovare, allo stesso livello, con un personaggio più potente.
Non ho più trovato un CRPG che già dalla creazione del party ti immergesse violentemente nel suo mondo come il gioco FTL.

Dopo aver creato il party cominciava l’avventura vera e propria. Si piazzavano i guerrieri in prima linea ed il mago ed il chierico in seconda grazie a delle rappresentazioni stilizzate dei personaggi (giallo, rosso, verde e blu, avevano fantasia in FTL) e si imboccava la prima rampa di scale che scendeva.
Dungeon Master non era un gioco molto vario, almeno graficamente. Muri e muri e ancora muri, tutti uguali, dal primo all’ultimo livello, ma sopperiva con l’atmosfera a quello che gli difettava in varietà. In poco tempo quegli ammassi di mattoni diventavano la nostra seconda casa e ci mettevamo poco ad orientarci, a ricordare ogni piccolo particolare che rendeva un muro diverso dall’altro. Un filo d’erba, una pozza d’acqua, una crepa, una scritta, queste piccole differenze ci indicavano la strada già percorsa per evitare di tornare sui nostri passi, ma nei livelli più intricati ciò non era sufficiente, ed eravamo costretti, come Pollicino, a lasciare qualcosa a terra per segnare la strada.
Nonostante questo nei livelli avanzati trappole a pressione, subdoli teletrasporti e dedali sempre più aggrovigliati di muri ci costringevano a munirci di matita e carta quadrettata ed improvvisarci cartografi. Sembra strano pensare che la funzione della mappa in game, oggi scontata in tutti i giochi di ruolo, allora fosse assente ed i primi giochi che la presentavano venissero accolti come una risposta alle preghiere degli avventurieri.
La gestione delle azioni in tempo reale rappresentava una rivoluzione per i giocatori abituati ai barbosi turni, oltre a permettere delle strategie di combattimento assolutamente originali. Era infatti possibile farsi inseguire da un mostro e farlo precipitare in una botola, magari la stessa in cui eravamo caduti noi poco prima, oppure chiudergli una pesante inferriata sulla testa!

I personaggi accumulavano esperienza in modo inusuale. Invece di ricevere un pugno di punti per ogni mostro ucciso, si specializzavavo nei campi che comprendevano le azioni che utilizzavano più spesso: ogni incantesimo, ogni colpo di spada, ogni pietra scagliata da una fionda  facevano crescere la rispettiva abilità, anche se non andavano a segno. Inutile sottolineare che molti giochi trassero spunto da questo sistema, e ce ne sono evidenti tracce anche in giochi moderni come Oblivion.

Il sonoro era ridotto ai minimi termini, come ci si aspetterebbe succeda in un sotterraneo, non c’erano musiche epiche e i nostri eroi ed i mostri non emettevano alcuna sillaba. Tutta l’avventura si svolgeva in un ambiente ovattato, rotto solo dal rumore dei colpi vibrati dalle nostre armi e dagli incantesimi, anche perché bisognava prestare attenzione ad ogni piccolo suono - calpestando una pedana si poteva udire uno sferragliare in lontananza, segno che si era aperta un’inferriata - derivante dalle nostre azioni.

Gli incantesimi si creavano mettendo in sequenza alcune rune, linguaggio con il quale ogni buon mago da scrivania è costretto a familiarizzare. La difficoltà stava nel trovare le combinazioni,
visto che le poche pergamene sparse per i livelli ci davano accesso solo ad una piccola parte delle magie disponibili, anche se, una volta trovata la chiave di decifrazione, non era molto complicato trovare altri incantesimi della stesso ramo (l’elemento “ful” ad esempio,era il minimo comun denominatore sia per una torcia magica che per una fireball che per un incantesimo di protezione dal fuoco).

Più che un gioco, Dungeon Master fu una rivoluzione.
La maggior parte delle caratteristiche che presentava non si erano mai viste prima, e tutte insieme formavano un’esperienza ludica indimenticabile. Tutti quelli che l’hanno giocato sono stati segnati e sono d’accordo nel considerarlo uno dei migliori videogiochi mai creati. Grazie ad esso fu coniata la definizione  “dungeon crawler” e nella sua scia in poco tempo arrivarono altri giochi simili (Eye Of The Beholder, che portava in dote la licenza D&D, Captive, Black Crypt) ma nessuno fu in grado di raggiungere le sue vette di atmosfera e di dare al giocatore la sensazione di “esserci” tipica del capolavoro FTL.
Almeno fino a quando una certa Origin decise che era  giunto il momento di ridefinire il genere e diede alla luce Ultima Underworld.


1 commento a “La mia giovinezza in un sotterraneo”

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