E io son tranquillo se ci sei tu… - { Il mondo da un oblò, Lettere dalla Mansarda }
LPf, Venerdì 5 Settembre 2008 @ 01:40

Non è facile spiegare cosa fossero i primi anni ’80 e il rapporto che l’uomo iniziò ad avere con la tecnologia, nessuna rivendicazione nostalgica o passatista, non ce ne sarebbe bisogno. La stragrande maggioranza di voi nemmeno andava all’asilo che già guardava Bim Bum Bam e giocava ai videogiochi, ma quando io e il Coimbra eravamo due nani c’era solo la TV in bianco e nero, una sola emittente, quella statale, non esistevano i cartoni animati, il computer si chiamava terminale e serviva solo per lavorare. E non era nelle case della gente, ma solo nelle aziende, non ne avevi nemmeno mai visto uno ma solo sentito i tuoi che ne parlavano durante la pausa pranzo, quando tornavano a casa, ti baciavano sul caschetto e se ne tornavano di corsa a lavoro.

Si, lo so, non è semplice neanche a immaginarsi un mondo del genere. Eppure il primo cartone animato lo vidi in braccio a mio padre, si sdraiava sul divano con me addosso tipo coperta, avevo quattro anni, lui molti meno di me oggi. Impossibile stabilire chi fosse il più stranito davanti a quei cosi spacciati per prodigio della tecnica, sbattuti in prima serata, ma il progresso incalzava, i soldi circolavano come non sarebbe più successo nella penisola, e riuscimmo ad attrezzarci per la seconda serie (ricordo come fosse ora quel Natale) scoprendo di che colore fosse Goldrake sul nostro futuribile, annichilente, Brionvega. Alta fedeltà, altro che alta risoluzione. E’ tutto next gen, non solo per i colori, è proprio la qualità dell’immagine ad esserlo, la nuova sigla di chiusura, poi, struggente, morbosa, non strombazzata, quel passionale, torbo giro di basso. L’eco arriva qua ancora oggi…

Goldrake next gen aveva sdoganato con brutalità oltremodo ridondante i cartoni animati, l’anno dopo il Berlusca avrebbe sdoganato la televisione privata (e l’invasione dei nuovi Atlas Ufo Robot), mentre in quello successivo Commodore avrebbe sdoganato (invasione annessa) il terminale della SIP, oggi Telecom, dove lavorava mio padre, trasformandolo in un computer da casa, un home computer, un computer per tutta la famiglia - nano incluso… Il mio approccio con quell’avveniristica tecnologia a cassette fu la geniale meccanica di Bomber (ovviamente si parla del Vic20), gameplay ipnotico, con tutta la famiglia annientata davanti al vecchio Philips in bianco e nero declassato a monitor del computer - mamma inclusa e non sarebbe più successo.. In un anno il mondo era diventato come lo conosciamo oggi, dal medioevo che era, e io non c’avevo capito un cazzo. Fondamentalmente perché non capivo un cazzo, ero un mollusco, nemmeno sapevo leggere e scrivere e là fuori si stava scatenando l’apocalisse. Non state dietro alle ricostruzioni dell’epoca, più o meno dettagliate che siano: nessuna sarà in grado di dirvi quanti e quali console/computer uscirono in quegli anni, era una grossolana, fisica, grandinata persistente, una realtà assolutamente fuori controllo, una creazione continua, alla giornata, da ogni amico una baracconata, una scoperta, ogni scoperta un’allucinazione e già l’inevitabile, primigenia, discussione si fece largo in quel caos preaurorale: computer o console? Un bambino solo non aveva dubbi, non ne avrebbe mai avuti, uno solo conosceva segreti, pregi e difetti, di tutti quegli ordigni - la sua sentenza incontrovertibile: console. Il primo uomo al quale ho sentito pronunciare la parola bit. Con toni ed enfasi da moderna console war, perché i nostri sistemi erano usciti, si, assieme, ma il mio ne aveva 4 e il suo 8. Mioddio, sono spacciato, pensai.

Quel coso non andava a cassette ma a cartucce, lui rideva fragorosamente quando le chiamavo cassette, non aveva il joystick ma il joypad con tanto di controllo a rotella con 16 direzioni simile a quelli che oggi montano gli Ipod. Graficamente si sbranava pure l’Atari 2600. Chi ci sviluppava? Nintendo, Sega, Capcom, Konami, Namco, Taito, Data East, Midway, Atari… Cosa? I loro cabinati, quelli dell’epoca d’oro, del giorno zero del gameplay, il biennio che va dall’80 a quell’82 culminato con l’Italia sul tetto del mondo. Advanced Dungeons & Dragons (son qua che aspetto la foto del Coimbrino che ha ritrovato la confezione) non m’è mai piaciuto, Cristo santo, il gameplay era appena arrivato e già non ci capivo una minchia. Meglio Frogger. Il Coimbra avrebbe passato la sua intera vita davanti ai computer, ma per quanto nessuno ne capisse quanto lui dai tempi del Basic e benché Doom lo vidi la prima volta a casa sua, è sempre stato fermamente convinto di quella verità inoppugnabile: per giocare serve una console. E nessuno, dico nessuno, potrà mai farmi credere il contrario. Diciamola tutta. A me però quella rotella non piaceva neanche per il cazzo. Un misto di paura e problemi d’ergonomia, un disastro a impugnarsi, mano bagnata, pochi giochi, troppo pochi, limite storico del Coimbra e in quel caso anche della macchina, quando io ne rullavo trilionate; così eravamo quasi sempre da me, in ginocchio, su di un mobile basso, bianco, vergognosamente anni ’70, stile giapponese, in ginocchio sui cuscini a giornate intere. Apriva la porta mia madre “Cosa ci fate ancora al buio? Ma andate fuori…”, apriva la porta mia nonna “Ma ancora davanti a codesto affare? Con questa giornata…”, apriva la porta sua madre “Ma ancora costì? Gli altri bambini vi cercavano…”, minchia, è nato il gameplay, stiamo dividendo l’atomo, vivisezionando un alieno, ma come cazzo si fa a non rendersi conto della portata della scoperta!? Avevamo scoperto computer, console, e ciò che più conta i videogiochi, noi futuri nerd (almeno lui), noi futuribili otaku, nei nostri pomeriggio d’ozio fra Astro Boy, Jeeg, Gundam, Judo Boy, Ryu il Ragazzo delle Caverne, Lupin III, Space Robot, le cartucce e le cassette, l’Inti e il Vic. Eravamo nell’ombelico dell’universo, dove e quando nasceva il gameplay e ciò che lo circonda, nascevano i generi, nascevano i brand, nascevano le software house, nascevano quei nomi che pronunciamo tutti i giorni, ma non li facevo miei, non mi restava niente dentro: bolle di sapone. Perché io la vivevo come un gioco, lui no, io giocavo a fare il Coimbra, lui lo era: tornato a Pistoia avrei acceso il computer una volta al mese a esagerare, non c’era gusto. Non perché non mi divertissi senza di lui, ma perché quel mondo non era minimamente affascinante senza qualcuno che lo rendesse tale. Da miracolo della tecnologia a giocattolo meno divertente di tanti altri che avevo: nel giro di un’estate. Avrei continuato a giocare, ma solo le estati successive e col Coimbra, e non avrei mai cominciato senza quell’estate e il Coimbra.

Goldrake, invece, non avrei mai smesso di guardarlo…


3 commenti a “E io son tranquillo se ci sei tu…”

  1. Omega Kid

    Brivido che scorre sulla pelle. Hai sparato due video incommentabili. Quel giro di basso e l’atmosfera seventies in netto contrasto con tutta la soundtrack, che abusava di fiati e corde fino a togliere ogni riferimento temporale. Semplicemente arrivava da un’altra dimensione. Lasciamo perdere di doppiatori. Non mi stancherò mai di vedere quei mostri in azione. Ma vi rendete conto la Rosalinda Galli (Lamù, tra le altre), ancora con quella voce squillante e morbosissima? Malaspina e la Eugeni poi, fuori parametro.

  2. shinichi

    Fantastico. Ma il coimbra non era fissato con gundam, che a te faceva cagare pechè non capivi… hahhahaha

  3. LPf

    Dai, era una mattonata, lento, incomprensibile. Finita la sigla non aveva più niente da dire o almeno diciamo niente che il mio cervello di piccione potesse recepire.

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