[Speciale 2011] Se sai vieni a insegnare. Se non sai vieni a imparare. - { Il mondo da un oblò }
LPf, Giovedì 29 Dicembre 2011 @ 16:10

?2011, l’anno della totale, completa, assoluta maturazione, l’anno della maturità contemplativa e spirituale con qualche nota vagamente mistica. Io non racconto più i videogiochi, io non parlo più di videogiochi, io sono i videogiochi e parlo di me.

Il mio percorso intellettivo, che significa tanto raziocinativo e cerebrale quanto emotivo e spirituale, è giunto al suo sviluppo definitivo, al suo completamento ultimo, non c’è un oltre, non c’è un passo successivo, e le riprove sono marcatamente empiriche. Non ci sono infantilismi o bizze, né contrasti o rivalse, non c’è un perimetro e non ci sono ostacoli, solo profondissima quiete e rinnovato amore, un perpetuo e imperturbabile sentore di affetto, simpatia e adesione intensa nei confronti del mondo e della storia del videogioco giocato. C’è consapevolezza, tanta, coscienza e conoscenza.

È quasi strano parlarne, un tempo scrivere di videogiochi mi dava piacere, era una parte di me che in qualche modo si affermava, una sorta d’infantilismo psichico che gonfiava per cinque minuti il petto e il suo ego, poggiando su un’acerbissima preparazione ed un sapere incredibilmente lacunoso – a prescindere da quei 6/7 lustri passati davanti a un display. Oggi è l’opposto, provo un senso di vuoto in cui si mescolano fatica e malinconia, non m’interessa che la gente legga o condivida, anzi, mi dà quasi fastidio che gli dia un qualche valore o lo trovi vagamente interessante. Io non parlo di come stanno secondo me le cose, ma delle cose.

Niente patetiche liste per baby busters, nessun ridicolo vincitore o pietoso runner-up, basta con gli agghiaccianti awards da avvilente rivista per minorati. Si parla solo di un anno di giocato e di chi sia stato capace di dare emozioni sincere e schietto divertimento, pace e amore.

È stato un anno in cui il mio adorato concetto di Xbox è arrivato al completamento del suo processo evolutivo, uno straordinario decennio di arrampicata perpetua sul clivio più alto dell’intrattenimento. Certo, parte della sua originaria, dirompente (a tratti ingenua), carica eversiva è andata perduta, o meglio, si è trasformata; diciamo che sostanzialmente abbia dato vita ad  un quadro più grosso anziché ad un quadro diverso. Ad oggi è senza dubbio la più completa entertainment station collocabile in un salotto che il mercato ci abbia mai offerto, non solo c’è qualsivoglia applicazione online o software di ogni dove e come, ma ha anche mantenuto il suo peculiarissimo tiro e se 10 anni fa The Elder Scrolls e Halo furono i primi DVD che inserii nel carrello, oggi Halo e The Elder Scrolls sono gli ultimi due che abbia tolto. Immobilismo? Neanche per idea, il contrario, evoluzione storica, stravolgimento storico. 10 anni fa non erano nessuno, oggi sono mostri trinciamilioni, protagonisti assoluti della scena e 10 anni fa ero uno dei pochi, se non il solo, a non aver dubbio alcuno che lo sarebbero diventati. Certo, emotivamente qualcosa non funziona più come allora davanti a quegli schermi, inutile nascondersi dietro a un dito. Senza dubbio quest’anno, parlo di giocato, non ho testato niente di più divertente dell’ultimo Gears of War che chiude il cerchio, da lì eravamo partiti a inizio generazione fra nottate di risate e insulti, e alle medesime siamo tornati alla sua fine - ma quanto è durato? Un mese? Due? Quanto mi smuove Skyrim rispetto a Morrowind? Quanto ha frullato l’ultimo Halo che celebrava i 10 anni della saga di riferimento del concetto stesso di Xbox? Attenzione, parlare di Xbox non significa parlare di me, si ragiona in primis di noi, non è un problema mio di sovraesposizione a certi brand o concept, qua si parla di noi, delle nostre serate su Halo, delle vostre su Call of Duty, delle loro su Battlefield. E noi, tutti, sappiamo perfettamente in cuor nostro che qualcosa, e non qualcuno, si sia perso per strada. Sorvolo su Kinect, la nuova dashboard, la multimedialità e tutto quello che Xbox è in grado di offrire, ma oggi, all’apice supremo della sua ascesa, anche in termini schiettamente numerici, Xbox è un’esperienza a tratti stanca, slavata e cerea, a tratti incerta, indecisa e inespressiva, a tratti esangue… E il brutto è che non ci possiamo fare un cazzo di nulla…

Purtroppo ho poco da dire su Sony, l’odio di un tempo è diventato disinteresse prima, da qualche anno è qualcosa simile alla cedevolezza, alla flessibilità, all’indulgenza con punte inaspettate di premura, delicatezza, affettuosità. Un po’ forse coinvolto a livello lavorativo, e nei momenti nerissimi di Sony non ci son stato per nulla bene, un po’ perché a mente aperta e serena riesco a riconoscere un fascino unico al concetto di PlayStation che fu, anche se con fatica provo ad associarlo a quello di PlayStation che è, ma istintivamente mi rifugio nello charme irresistibile che solo un gigante caduto può esercitare, e allora godo profondamente nel vedere cosa non combina tecnicamente Uncharted, mi dà una sorta di senso di rivalsa, in qualche modo di giustizia, quasi a dire “il più forte sono sempre io” senza avere la forza di gridarlo.  E lo slancio finisce lì, esattamente dove inizia, non riesco a vedere un’offerta Sony se non come ad un’offerta Microsoft mutilata, identica ma più impedita, uguale ma più manchevole, fra titoli multiformato portatori di handicap, che già sono diversamente abili su Xbox e titoli interni che non parlano né della PlayStation che fu, né della PlayStation che è…  E il brutto è che non ci posso fare un cazzo di nulla…

E per capire cosa manca, cosa posso fare, per capire l’ovvio ci vuole una cosa sola: l’ovvio. L’ovvio è rivolgersi al migliore del mondo, da sempre - ai migliori di sempre - per tacere anche della mia sciagurata Sega. Da che esistono i videogiochi i migliori sono loro, o meglio, è da quando loro hanno inventato i videogiochi - perché li hanno inventati loro quando Microsoft vendeva sistemi operativi bacati e Sony radioline con le cuffiette di spugna – che mettono al mondo roba concettualmente impensabile per gli altri; ieri come oggi. Se ne sbattono dell’hardware, l’hanno sempre fatto, non è un vezzo o un plus, né una cosa aberrante, è solo un dato di fatto. Ma fanno quello che gli altri non possono fare (leggi: permettersi di fare) abbiano per le mani un NES marcio, un GameBoy con 4 gradi di grigio, una ciabatta bucata come il Wii. Il divertimento non si misura in bit diceva qualcuno, ed è un concetto sciatto, scricco, puerile. Perché Nintendo investe su un gioco quanto gli altri investono su cinque ed è solo allora che l’hardware, il mezzo, diventa meramente accessorio, collaterale. Poi questo è solo un aspetto, l’altro è che si parla di studio, concept, e soprattutto personale, in eccesso per quantità e competenza, si parla del più completo, vasto, e soprattutto capace, team esistente che è anche l’unico con un know how talmente consolidato che il gap con gli altri diventa quasi avvilente. Basta un passaggio di un gioco, lo capisci subito, lo sai perfettamente: gli altri non faranno mai una cosa del genere. Faranno cose ugualmente belle, svilupperanno idee in altre direzioni, ma quella cosa non la faranno mai. Perché un conto è fare un videogioco, un conto è fare un videogioco quando ti chiami Nintendo. E un conto è giocare ad un videogioco, un conto è giocare ad un videogioco di Nintendo. Sembra impossibile, ma hai appena finito l’ultimo Zelda, sei a casa tutto il giorno e non ti riesce giocare a niente senza romperti le palle dopo mezz’ora… E il brutto è che non gli puoi fare un cazzo di nulla…

Gioco dell’anno: The Legend of Zelda Skyward Sword


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