Della Quinta libertà e del requiem di un visore, ovvero: bimbi che giocano a nascondino. - { Il mondo da un oblò }
Esulo, Mercoledì 26 Gennaio 2011 @ 12:34

Dopo l’abbuffata degli award e il necessario periodo digestivo, torniamo a alla pubblicazione con la rubrica dedicata agli esuli. Oggi tocca al giggio, un passato da allievo del topastro torinese e un radioso presente nella nazionale juniores carioca.
La prima volta che accesi il visore notturno una sensazione di felicità pervase ogni fibra del mio corpo. La portentosa grafica, il gameplay intuitivo ed una trama soddisfacente introdussero Sam Fisher nel mondo videoludico, presentando un gioco assolutamente eccellente sotto qualsiasi aspetto.


Splinter Cell incitava i giocatori a prediligere la furtività alla forza bruta, ponendo un limite di allarmi raggiungibili e una severa regolamentazione dell’utilizzo della forza letale, creando una struttura trial&error che spingeva il giocatore a perfezionare le tecniche di infiltrazione, onde evitare l’annullamento della missione da parte del direttore di Third Echelon, il Colonnello Lambert.

Il secondo capitolo della saga si presentava  come un mero data disk, nessuna innovazione del gameplay o variazioni del single player che meritassero una menzione, nessun accenno di un’evoluzione se non nel campo dell’online, presente per la prima volta, ma il compitino risultava ben fatto, soddisfacente quanto bastava da non lasciar delusi.

Chaos Theory arrivò sulla terra accompagnato dal rombo del tuono: l’eccellenza dell’AI, le ottime mappe e, probabilmente, uno dei migliori comparti grafici che la scorsa generazione abbia visto non poterono che lasciare di stucco e favorire il successo del nuovo capitolo.
Anche qui, però, i limiti si sentivano; ancora una volta non c’era nulla di nuovo, gli si perdonò tutto per il single player eccezionale, ma si intuiva che al prossimo giro non sarebbe stato accettabile, era l’ultima volta che avremmo visto il vecchio Sam.
Unico aspetto potenziato da Chaos Theory fu la trama. Cominciò a delinearsi una storia più personale, ponendo Sam Fisher in conflitto col vecchio amico Douglas Shetland, riprendendo argomenti risalenti al primo Splinter Cell, creando un intreccio più complesso e meno prevedibile, e fu questa la strada da cui gli sviluppatori partirono per il quarto capitolo della saga: Double Agent.??Ahimè, i risultati furono tutt’altro che soddisfacenti, benché sicuramente l’impianto narrativo fosse ottimo rispetto ai predecessori e fosse sicuramente il capitolo con più novità non si poté dir nulla di buono sul esito.
Un’AI pessima, che azzerava il livello di difficoltà, mappe orrende, il più delle volte lineari, nessun motivo per essere silenziosi e una quantità di bug da far impallidire le produzioni Obsidian.
Le scelte narrative erano state azzeccate, ma le meccaniche si erano impoverite oltre il redimibile; con il prossimo capitolo sarebbe stato necessario fare un taglio netto col passato, per sfuggire alle eventuali eredità di Double Agent.

È così che dopo un travagliato sviluppo Conviction è arrivato da noi.
Il gioco di per sé non è malvagio, indubbiamente un passo avanti rispetto a Double Agent, ma non è Splinter Cell.
Conviction è uno sparatutto in terza persona dove il giocatore può nascondersi nell’ombra per attaccare e poi sparire, non è più uno stealth.
Il gioco si risolve in un tediosissimo gioco “mordi e fuggi”, in cui Sam attacca i nemici come farebbe un commando e ritorna nell’ombra per organizzare il prossimo attacco, eliminando uno ad uno gli avversari per poi procedere in una nuova stanza e rifare da capo la sequenza, usufruendo di granate, pistole, vari fucili ed armi ambientali.
Mappe strutturate in lunghi corridoi pieni di coperture e un’AI nemica pensata non per uno stealth ma per un TPS annullano qualunque furtività, rendendola non necessaria. Non ci sono penalità nel far scattare gli allarmi, non c’è nessun freno alla Quinta libertà, non ci sono percorsi alternativi da considerare, non c’è bisogno di studiare la mappa in cerca di un condotto di ventilazione, non c’è nessun motivo per giocare come in uno stealth puro.
La parte narrativa è stata ulteriormente migliorata, presentando la migliore storia della saga, colpi di scena notevoli, grandi sviluppi del background, ma ciò non riesce a togliere quel odore di cordite dalle nostre narici, non riusciamo a non chiederci perché il visore notturno ci è stato dato praticamente alla fine del gioco, non riusciamo a spiegarci perché la maggior parte delle armi di Sam non sia silenziata, non riusciamo a spiegarci perché le ombre non siano più affascinanti come un tempo.
Forse da qualche parte, in un futuro non troppo lontano, ci saranno tre occhi verdi ad aspettarci nell’oscurità, ma ad oggi il nostro presente è fin troppo luminoso.

Giggio


1 commento a “Della Quinta libertà e del requiem di un visore, ovvero: bimbi che giocano a nascondino.”

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