thE enD - { Quando sono venuto al mondo i Lynyrd Skynyrd precipitavano in aereo }
ginko, Venerdì 15 Ottobre 2010 @ 01:23

Halo Reach ha già smesso di far parlare di sé anche se non ha smesso di vendere. Halo non deve convincere. Chi lo conosce sa cosa trova. Chi critica le nuove mappe sa che saranno sistemate.  Chi non c’è ci tornerà. Chi non ci tornerà ne parlerà comunque. Reach è splendido. Reach è scontato. Reach sorprende comunque perché è la chiusura di un’era che è iniziata nel 2001, quando le console non potevano caricare un FPS senza essere accusate di tentare inutili attacchi alla profondità di gameplay del PC. Eppure flash di coscienza erano già partiti da giocatori che ebbero una pasqua genomica quando incrociarono la strada di Perfect Dark e quando travolti dal 3D giustificarono persino i voti dati al primo simulatore videoludico di slow motion.

Una tortura chiamata Turok. Certo, certo, si trattava di giochi belli grossi, ma ponendoli su un piano che tutti oggi amano chiamare in causa a vanvera, ovvero quello del gameplay, diventavano delle ciotte marroni ammuffite in un buco nero e umido. Eppure sdoganarono l’FPS e introdussero un nuovo set di carte che Halo piazzò nella mano finale in una scala reale tanto alta che fu capace trasformare gli sconosciuti Bungie nella software house più acclamata del pianeta. Era il nuovo. E il nuovo doveva dimostrare di valere qualcosa per non soccombere ai Twilight dell’epoca. Alle formule rodate, costruite, montate pezzo pezzo sapendo già quale componente attirerà i casual, quale gli otaku e quale gli hardcore. E doveva anche sconfiggere i Call of Duty quando Call of Duty, pur classico, era ancora una perla fresca e non un pallido tentativo di riprendere i film di guerra moderni che a loro volta tentano miseramente di copiare la guerra autentica.

Ma sottraiamoci alla ricorrenza odierna che non a caso è frutto della novità e torniamo per un attimo ad Halo. Halo che ha spiegato al mondo che un pad non serve solo per i picchiaduro e che il gameplay non è solo una questione di mouse e soprattutto che non è certo morto e sepolto con l’era d’oro di platform e shoot em up. E, come dicevo, non c’è nemmeno bisogno di parlarne. La potenza di Halo Reach è ovvia. Ovvia nelle parole di chi non vede l’immensità fisica dell’engine Bungie. Ovvia come il fatto che Quake Arena sia ancora l’unica forma di gameplay puro in circolazione (mavaffanculo :asd: NdAries). Ovvia come le vendite di PES in Italia nonostante l’ultimo Fifa, grazie ai mostruosi finanziamenti più che alla reale comprensione del calcio, abbia introdotto finalmente il caso in un dannato gioco di calcio rivoluzionando silenziosamente un genere immutato da almeno un paio di lustri. La potenza di Halo è ovvia perché Halo ha avuto un inizio e una fine e perché in questo frangente ha dovuto offrire Halo e non qualcos’altro. E così un titolo che si è permesso di troncare una campagna a metà è rimasto sopra a tutti. Un titolo che si è permesso di pompare la fisica del combat fottendosene della fisica di contorno e del colpo d’occhio e ha spaccato comunque ogni certezza circa le esclusive monopiattaforma. Un titolo che potrebbe anche chiudere la sua partita adesso ed essere ricordato almeno per 50 anni dirà comunque qualcos’altro.

Con tutta probabilità Halo sarà il titolo più supportato da Bungie e lo sarà perché non vuole morire da solo. Halo Reach non è solo il giocattolo di 600 mila giocatori che ci si consumeranno sopra per i prossimi 2 o 3 anni. Halo è il titolo di nicchia che spara milioni. Halo è la vera chiusura dell’epoca XBox e sarà pompato fino al fischio finale che si chiama Gears Of War. L’ultima esclusiva cattiva, l’ultimo bagliore dell’onesta spettacolarizzazione della fine, di quel mister brillio di immaginario americano che non deve chiudere il sipario su un Dio, o su qualche spirito salvifico, alla stregua di una qualsiasi serializzazione di serie B giapponese o siciliana. E non mi stupirei se Marcus morisse, come non mi sono stupito delle scelte effettuate con Reach. E non mi stupirei nemmeno se la prossima console Microsoft non si chiamasse XBox. Siamo al game over di una doppia partita iniziata 14 anni fa e per la prossima decade si torna al PC perché il fischio finale sta arrivando anche per Morrowind e per tutti i titoli che non copiano il vincitore dell’anno precedente e differentemente da Halo devono restare nella fascia del milione di pezzi.

Ma non è la prima volta che assistiamo a una fine di tali proporzioni e ogni volta il canto del cigno è stato sempre più straziante. Il gobbo deforme ha dovuto vedere sempre più fratelli soffrire, sparire o essere truccati da goth della domenica per poter uscire il sabato e non essere schifati dalla fia di turno.

D’altronde gli action adventure 3D si sono già schiantati sull’incomprensione di Outcast. Le space sim sono relegate da anni allo sgabuzzino di una stanzetta polverosa. Le avventure grafiche sono state schiacciate dai motori 3D e dall’incapacità di scrivere che una popolazione sempre più ossessionata dai videoclip sembra aver coltivato con insana passione. E così i free roaming dall’alto sono diventati free roaming da dietro, perché i botti devono essere quelli dei film e non quelli dei videogiochi. E così Ultima Online è diventato World of Warcraft perchè l’importante non è che sia libero ma ossessivo e schematico. E così le avventure grafiche sono diventate film interattivi e i giochi di ruolo hanno preso tutte le comodità dei jrpg e i simulatori di guida si sono trasformati in collezioni di macchine vere e i giochi nuovi giochi sono diventati di nicchia e It Came From The Desert è diventato GTA, tornando indietro di quarant’anni in termini evolutivi, e Castlevania ha partorito Dante e Dante ha cagato un emo. Tutto finisce. Poco migliora. Solo le cose nuove sono migliori. Le cose che nascono. Perché quando le cose invecchiano si devono travestire. La religione si deve travestire da trend modaiolo, il nazismo da politica pragmatica, il ladrocinio da necessità. Nessuno accetta la morte. Men che meno il denaro che nella propria replicazione numerica ossessiva esplode anche l’ossessione degli esseri viventi che hanno la sfortuna di pensare. E per difendersi questi esseri non sanno far altro che convincersi di rompere con la propria condizione creando l’opposto di ciò che vedono come routine e quindi come strada verso la tomba. Ed ecco perché nasce il bisogno di una nuova generazione. Di cose nuove che non possano copiare deliberatamente cose morenti. Di cose che non consentano ai deboli la negazione e che quindi vengano acquistati dai suddetti nel tentativo di replicare una triste commedia che sostituisca la routine mortale con una routine virtuale. Col dettaglio che la routine virtuale è vuota e viaggia comunque a settanta euro al pezzo. Insomma c’è bisogno di bambini, per citare la più becera delle casalinghe democristiane che quei bambini li rovinerà. Ma quei bambini, almeno per un paio di anni, non sono intaccati dalle stronzate di una nonna terrorizzata e possono combattere la morte a modo proprio. E c’è bisogno di giochi che non puzzino di morte anche solo per il motore grafico perchè usano lo stesso Havoc di altri 100, le stesse texture di altri 200, le stesse idee di altri 10 mila. C’è bisogno di creazioni che costringano gli autori a dannarsi per inventare qualcosa di nuovo e che non sembrino vecchi ammuffiti ma che accettino la morte per rinascere, anche commercialmente. Perché non si può più ammazzare la gente e bombardare per ricreare cose identiche. Il mercato rischia di sparire. Il mercato stesso ha bisogno di un figlio perché oggi come oggi, anche se tutti si aggrappano alle fallaci e stupide sicurezze di una torre che si sta sbriciolando, questo mercato deve soccombere, eclissarsi, crepare senza troppe storie per avere una speranza di sopravvivenza. Per dare modo alla cultura almeno di sopravvivere tra le pesanti pieghe del capitale che vende milioni di copie di una commedia che ci racconta di un’immortalità poco credibile e sempre nello stesso modo. E doveva morire anche Master Chief anche se abbiamo sperato tutti che lo sfigato del Noble Team fosse in segreto un giovane indistruttibile che avrebbe potuto vivere per sempre senza mai togliersi il casco e senza mai doversi travestire da emo per sopravvivere al tempo. Ma col senno di poi speriamo che non capiti mai, che nessun casco abbia mai la nuca del 117 dentro e speriamo di non sperarlo anche se spareremo quando la speranza verrà spazzata da spade spuntate che spremeranno le nostre pecunie.


2 commenti a “thE enD”

  1. LPf

    E’ realmente il canto del cigno di una generazione, un progetto, un concetto. Xbox oramai è cosa matura e sdoganata alle masse, continuerà per la sua strada, Halo sarà sempre un brand fondamentale, ma quel “tipo” di Halo, quello di Bungie, quello del titolo hardcore che diventa fenomeno di massa, con quest’ultimo episodio arriva definitivamente al capolinea. Per questo l’impegno è profondissimo, furiosa la serietà nell’applicazione: va onorato. Con Tutto quello che si ha dentro. Per la prima volta in vita mia tengo un rapporto K/D positivo in uno shooter, crescono i gradi, si ammassano le ore, supero le mille kill, ma resto, e resterò sempre, in purezza. E’ un impegno sincero Bungie, non sai la fatica che mi costa. Ma te lo devo…

Lascia un commento

Devi accedere come redattore per lasciare un commento.