Prendo la curva troppo forte ma non devo staccare il piede dall’acceleratore, mancano pochi secondi al termine della sessione e almeno 300 metri al traguardo. Ho un unico tentativo dopo i mille disastri che ho combinato in quest’ultima ora.
La pioggia, l’illuminazione notturna troppo inusuale ed un tracciato che pare ricavato dai corridoi di un manicomio criminale rendono la pista un disastro, in uscita dal curvone che immette sul traguardo, sbando ma riesco a controllare la macchina, ci sono ancora 50 metri… 10… altri 3 metri, ecco, si inizia.
Prima S verso sinistra, la faccio bene, poi un curvone sulla destra che mi porta ad una frenata da 5g, da 300 a 120 km\h in 35 metri. Serie di curve e curvette con muri a 5 millimetri dalla ruota, qua ci vuole sangue freddo e si spera che le ruote dietro non vogliano farsi una gita. Una chicane senza senso da prendere a 180 spunta dal nulla; la prendo quasi tagliandola con le ruote che rimbalzano su quei cordoli e l’adrenalina che mi inonda il cervello. Altre due curve da ‘Stop & Go’, sembrano passati pochi istanti ma ho già polverizzato 3 chilometri in meno di un minuto e mezzo.
Accelero per il rush finale, la parte più difficile, ed eccola, “la stronza”. Curva secca a sinistra, non la vedo mai nonostante i cordoli bianchi e rossi completamente bagnati brillino come lampade sotto l’illuminazione a giorno del circuito. Nemmeno i pannelli delle distanze aiutano, c’è solo quella fottuta pubblicità dallo sfondo arancione che mi risveglia il cervello quando ormai è troppo tardi. Schiaccio il pedale del freno ma l’inerzia di quella cassa da morto da 800 cavalli è enorme e io sono troppo veloce. I primi 20 metri di frenata durano un eternità, di fronte, un muro con dietro un grattacielo si sta preparando all’urto, lo sento già ridere. Premo ancora più forte, con la caviglia che chiede pietà, e tento di infilare la macchina in traiettoria sapendo che potrei girarmi rovinosamente. Succede il miracolo, un pò largo, controsterzando, ma imposto la curva, dentro il casco sento il mio respiro affannoso e l’ingegnere che mi incita. Prendo in pieno il cordolo, ed ecco che “la stronza” tenta un ultimo disperato tentativo per fregarmi, la macchina sbanda, le ruote posteriori slittano perdendo aderenza, tento un ultimo disperato controsterzo sperando che non si risolva tutto con un 360 gradi di vergogna. Chiudo anche gli occhi per pochi millisecondi; quando li riapro sono ancora dritto, “la stronza” mi ha graziato.
Mancano solo due curve da fare in pieno e poi il rettilineo. Affondo il piede e passo il traguardo, eccitatissimo, zuppo di sudore gelato, 1:44:257 e primo posto, compagno di squadra a 5 decimi, ed è lui il mio avversario, se voglio un contratto migliore.
Ai box tutti festeggiano ma io mi defilo perchè c’è un tizio con un microfono dietro un muretto che mi fa cenno di avvicinarmi; è un giornalista. Gli concedo l’onore di intervistarmi.
Mi chiede cosa ne penso della qualifica, gli rispondo che la macchina è un cesso ma io sono un fenomeno, di portarmi davanti gli altri buffoni che li batto tutti dal primo all’ultimo, anche in una gara di rutti.
Lui ride malignamente e si vede che ha qualcosa da ribattere. Con tono acido mi spiega che quella non è ‘vera Formula 1′, che la grafica fa cagare, dalla modellazione all’illuminazione, che nella vera F1 non fai 15 sorpassi in 3 minuti, che non ti annullano un giro perchè in una curva vai largo di 2 millimetri, che sostituire le gomme cambia davvero le cose e che regolare gli assetti non vuol dire solamente andare sull’asciutto o sul bagnato. Mi legge la lista delle cose che mancano e dei bug. Mi fa notare che quando sono gli altri a tamponarti penalizzano sempre e solo te, degno del peggiore degli Ecclestone, che vinci le gare solo se i tuoi meccanici ai box si ricordano di farti ripartire, cosa tutt’altro che scontata.
Mi fermo un momento a pensare alle sue parole. Penso anche a tutte le cose che ho amato: una donna estremamente stronza, un’auto che sotto i 20° esterni nemmeno si accendeva, un film grandioso dal finale di merda e capisco.
Lo prendo per il colletto, lo fisso negli occhi: “Questa non è Formula 1. È meglio”.
Ayertosco
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