Soprattutto con quel PC mininano stylish e quel caffé lungo dal retrogusto al merdao.
Sarà il pezzo, credo, più ai margini che AiMargini abbia mai visto, invero, penso seriamente che nessuno abbia vissuto così ai margini una fiera. Nella storia delle fiere…
Un’azione stealth senza precedenti per far entrare la mia bimba in un luogo protetto da due sbarramenti con due diversi tipi di cartellini elettronici da passare sotto gli appositi lettori. Ma sono cose che ti vengono una meraviglia quando non t’importa una ceppa d’entrare, a maggior ragione quando hai a che fare con un paese in via di sviluppo dove aggirare un paio d’indigeni è come rubare le caramelle a un bambino. La Germania mi fa sempre il solito, tenerissimo effetto; sembra l’Italia che filtrava dai CRT sfocati e sbombati degli anni ‘80, giacche con le spalline, camicioni a rigacce, capello corto sopra e lungo sul collo, cesti all’Ametrano, bionde permanentate dalle chiome unte e incaccolite, volanti impellicciati, e fra colori improbabili abbinati a casaccio, le casse di un pubbettino coi vetri neri e il muro verde passano con disinvoltura da The Power degli Snap a We are the Champions dei Queen. Un livello di dozzinale, tracotante, polacca arretratezza, talmente tangibile che potresti affettarla col coltello; l’interno dell’albergone super stylish strappa un sorriso alla vista della sola moquette, ti sbattono in faccia cose che credevi irrimediabilmente perdute con Claudio Cecchetto, le vetrine dei negozi di cianfrusaglie e i loro biadesivoni ti spaccano le braccia, la sensazione perenne di essere in casa di tua nonna ti resta incollata sulla groppa, tutto è sospeso fra l’odore di muffa e quello di weisswurstel coi crauti, ogni cosa, luogo, locale o persona bivacchia fra il kitsch e il vintage, l’orrido e il superato senza che niente di tutto questo sia minimamente voluto. Anzi. E’ allora, e senza trovare una risposta vagamente attendibile, che cominci a chiederti perché riesca a metterti sempre così bene quel posto dimenticato da dio; se non fosse per quelle mangiate di merdole con quelle salse meravigliose forse sarebbe impossibile giustificare quella vogliaccia di gironzorellare per il centro marinando quotidianamente la fiera.
Già, la fiera. Se quell’inutile baraccone trito e stanco popolato unicamente da Sheldon malvestiti, tamarri e sudati fosse realmente una fiera. La fiera degli orrori, magari. Forse è per quello che la fanno in Germania. E tu cosa ci stai facendo? Te lo chiedono annoiati i pochi compatrioti che incroci nella business area e non trovi una risposta convincente. Un tempo ci guardavi i giochini, ci provavi i giochini, giacca e cravatta fissavi appuntamenti inutili, strette di mano, sorrisoni, conscio che nessuno si meritasse come te di essere in quel posto. Dio, che meraviglia provare i giochini, specie se a porte chiuse, nella pace della business area, lontani dal tritume degli stand assordanti: ipersudorazione, iposalivazione, ecco come li provavi. Ora ci passi davanti sbadigliando e col mal di gambe, il primo giorno nemmeno è aperta al pubblico, puoi testare in santa pace quello che credi e invece guardi due secondi un beota con la testa quadrata che gioca a qualcosa e ti sei già stracciato i maroni. Passa il vegliardo in cravatta, ti accenna un saluto col mento e noti una verità ineluttabile: ha il tuo sguardo fiacco, il tuo passo fiacco. Forse un giorno anche a lui piacevano i giochini. Forse un giorno sarai tu quel vegliardo annoiato con la cravatta brutta. O forse lo sei già? Se si eslude la cravatta. I ripensamenti raggiungo l’apice quando la tua bambina, che aveva messo in conto di non passare là dentro più di qualche nanosecondo, salta da un gioco di ballo all’altro, sculetta di qua, sculetta di là, saltella dalla tua Nintendo, sballetta dalla tua Microsoft, si diverte, viene da te col sorriso a mille denti e ti dice “Dimmelo se ti stai annoiando, se vuoi andiamo via”. Gesubenendetto, ma non dovrei essere io a fare quella domanda?
Quattro giorni in Germania solo due mezze giornate in fiera, ma la prima da sola valeva il prezzo del biglietto. Porte chiuse di Two Worlds II, solo per la stampa italiota in trasferta. Onesti compatrioti. Il tedescone non lo monta più il suo castellaccio di cartapesta negli stand aperti al pubblico, non dopo il conto dell’ultima volta; così invitiamo il PM con la debug per una dimostrazione da fare a porte chiuse nel nostro ufficio commerciale presso i francesi della BigBen. C’era un tedesco, un francese e un italiano. Pasticcini sul tavolo, io non tocco boccia, mi limito ad accogliere la gente, sorrisone, portarla nella stanza “Caffé?” e a scattare due foto mentre Jorge spiega il gioco in ogni dettaglio. Stiamo improvvisando tutti di sana pianta, ma coordinati; viene una meraviglia. Inutile dilungarsi sulla fisica applicata a qualsiasi oggetto, incluse le catene dei lampadari e delle ombre dinamiche che questi proiettano quando li fai oscillare, futile parlare del sontuoso comparto tecnico, degli shader o il frame rate da urlo, del più profondo comparto ludico mai messo in scena su 360, di quanto sia Wind Waker, Guitar Hero, World of Warcraft, Sim City o Assassin’s Creed: altrimenti che l’abbiamo invitata a fare la stampa? Mi limito a dire che la versione finale sia ben oltre le mie aspettative più bagnate e, parafrasando lo Sky, dio solo sa se erano alte. Ma sotto ogni profilo, incluse LE modalità online, gestionale annesso. Vi segnalerò senz’altro i link una volta che i giornalisti avranno metabolizzato, rielaborato, e tradotto in caratteri quanto visto, benché comprenda la difficoltà del compito.
Il resto della fiera? Poco o nulla. Seguiti inutili di seguiti inutili di seguiti inutili di giochi inutili 5 anni fa. Se non son seguiti è merda per casual, ballo sostanzialmente, da Michael Jackson a Lady Gaga, si balla e si riballa, ovunque. Più che una fiera è un culodromo. Da segnalare un passo decisivo per Kinect: l’input lag è passato da qualche fastidioso millisecondo a un secondo circa, abbondante e tragicomico. Una roba impresentabile. PES è bello come un dio greco e quest’anno voglio le pecore a pecora, animazioni fuori di testa, una cura invereconda, se non è il calcino definitivo quello io son Ciccio di Nonna Papera. Meglio Zelda, più rifinito, carico e nobilitato da quegli LG bianchi, finalmente piccoli come taglio e settati come cristo comanda. Artisticamente è il peggior arrosto mai combinato da nintendo, ma comincia a esserci roba su schermo, un dungeon clamorosamente bello, alla fine spaccherà tutto anche se è il solito gioco di sempre col nunchuk mappato 1:1. Mappato, si, a tratti sfarlocca e perde qualcosina per strada, ma passare dal Kinect o il Move al Wiimote col Motion+ pare davvero di passare dal volante di una Ritmo smarmittata a quello di una qualsiasi utilitaria di oggi. Sempre bellissimo Donkey, un tantino fiacco Kirby. Poi c’è Halo. Diomio Halo. Cooperative alla ODST in postazioni da 4, mi distinguo e mi bullo, lo voglio come pochi giochi ho voluto: è lo stato dell’arte, punto. Assieme a Two Worlds e il MegaDrive è il mio punto di contatto, ultimo e immarcescibile col mondo dei videogiochi. Sempre bello anche Fable, un po’ più fuori di melone, ma molto più simile al II di quanto credessi. Non scriverò un rigo sull’inutile resto, noto e stranoto. La sorpresa dell’anno? Sarà Wando e il Culosso, stupendo, lo Zelda che Microsoft e Sony non hanno mai avuto. La palma del gioco più Ai Margini della fiera va invece al simulatore di trattore per 360 e PC del quale non ricordo il nome, ma vi uppo una foto. E ora di corsa a prendere l’aereo per Lampedusa, Aries & Mauz non toccate le foto ma correggete eventuali errori di battitura, please. E statemi tutti bene in ufficio.
Tutto, tutto, anche Two Worlds, ma il Culosso no, non si può vedere.