Cominciamo dal fatto che è un po’ inquietante l’apparizione del logo Namco Bandai come prima schermata: bontà mia non avevo ancora giocato un titolo Namco (men che meno uno Bandai) dai tempi della fusione.
Cosa dire, esaurite le due righe che servono a darmi la spinta ad andare avanti, di questo Soul Calibur IV?
Prima cosa, per onestà chiarirei che mi riservo (e sarà politica comune per questo spazio) di riesaminare il titolo in un futuro più o meno prossimo. In fondo i picchiaduro sono titoli profondi (o dovrebbero essere profondi) , ci vuole il suo tempo ad assimilarne le meccaniche, e capirne i punti di forza, le debolezze, la qualità del bilanciamento tra i vari personaggi, e quant’altro.
Ma partiamo proprio dai personaggi. Ce ne sono uno scatafascio, fin troppi. Inspiegabilmente mancano personaggi storici della serie, mentre sono stati aggiunti [N] personaggi che altro non sono che dei duplicati del set di mosse di altri (Shura è Cervantes, Kamikirimusi è Nightmare, e così via) il cui design è stato affidato a una serie di mangaka/character designer/pipparoli giapponesi più o meno famosi in patria[1].
Ci sono –ovviamente- dei personaggi nuovi, ma sono talmente dimenticabili che –infatti- li ho dimenticati. In questo momento mi viene in mente solo una tizia (Hilde?) vestita da cavaliere che sembrava tanto figa e invece fa discretamente cagare[2].
Caratteristica di questo Soul Calibur è l’editor, evoluzione diretta di quello del terzo capitolo, che permette di creare dei nuovi personaggi (o modificare l’abbigliamento di quelli base) utilizzando un determinato move set e capi e oggettistica sbloccabili tramite le varie modalità di gioco, e che –in breve- permette di ottenere dei risultati che variano fra il volutamente grottesco e l’involontariamente ilare, a differenza del grado di convinzione del creatore[3].
Ah, stavo quasi dimenticandomi (ma una rapida occhiata alla copertina della versione 360 me l’ha tristemente ricordato): per chi non lo sapesse, la gran pensata di Namco Bandai per aiutare il lancio di questo titolo è stata quella di inserire (e vorrei sinceramente vedere in faccia quello che ha avuto l’idea, e magari averlo davanti in questo momento) due personaggi e uno stage dalla saga di Star Wars.
La seconda bella pensata è stata quella di inserire personaggi diversi per la versione ps3 e quella 360, nello specifico Darth Vader (o Fener che sia ) per la prima e Yoda[4] per la seconda, e –guarda che geni quelli del marketing- comune per entrambe le console è il personaggio bonus dell’allievo di Darth-quel-che-è, che sarà protagonista del gioco di prossima uscita della Lucas.
Chi ha detto marchetta?
In ogni caso, appurato che dal punto di vista della dignità[5] si è toccato probabilmente il punto più basso della serie (sempre in attesa del quinto capitolo), andiamo a esaminare quello che è il cuore di qualsiasi picchiaduro che si rispetti. La meccanica di gioco, il combat system.
Dal basso della mia competenza: nessun campionato mondiale-europeo-italiano-regionale-del condominio per me, ma un anno e mezzo abbondante di multiplayer sul secondo capitolo e una buona dose di ore (più una duecentina abbondante di incontri online) su questo quarto[6].
Dal basso della mia competenza, dicevo, mi sento di dire che le differenze dal secondo non sono poi molte: certo qualche mossa è cambiata, qualcun’altra è stata spostata/depotenziata/potenziata, qualcosa del sistema di Guard Impact[7] funziona in maniera leggermente diversa da prima, ma la sostanza è quella, tralasciando l’aggiunta (in effetti per me trascurabile) delle critical finishing[8].
Il sistema quindi, di per sé funziona bene, perlomeno per quelli a cui piacevano i precedenti capitoli, con un ma. Un grosso “ma” a dire il vero.
Il netcode. Nello specifico, il netcode in concomitanza con un sistema di gioco più frenetico (questa fissa di aumentare la velocità di gioco di capitolo in capitolo spero finisca prima o poi, perlomeno prima che possano giocare solo i cocainomani e le manguste) e che premia maggiormente il gioco d’attacco rispetto a altri titoli moderni (uno su tutti, il più riflessivo [ma fin esageratamente tecnico] Virtua Fighter), e al fatto incontestabile che alcuni personaggi abbiano del vantaggio in termini di velocità ed efficacia rispetto ad altri.
In poche parole: siccome il gioco soffre piuttosto seriamente di lag-issue vi capiterà di giocare contro gente che –novelli track’n’fieldisti- prenderanno i personaggi più veloci/potenti/sgravati del gioco e -premendo furiosamente UN tasto del pad- riusciranno a mettere in difficoltà anche un giocatore mediamente esperto, siccome -sempre causa lag- diventerà difficile fare entrare le cosiddette punish (quelle mosse rapide che approfittano delle pause fra le sequenza di mosse dell’avversario per –come dice il nome- punire chi gioca senza una vera strategia e/o competenza).
Certo, con un po’ di esperienza e scegliendo accuratamente gli avversari in base alla qualità della connessione[9] (sappiate che sotto le 4 tacche è lammerda) il gioco risulta comunque godibile, perlomeno finchè non ci si stanca di affrontare impediti che usano solo Kilik e Cervantes[10] seguendo la guida di achievement-per-tutti per fare il livello 20 e sbloccare il corrispondente obiettivo di gioco.
Resta il fatto che giocando contro gente dalla lista amici, il gioco è godibilissimo: 5 tacche fisse, possibilità di creare stanze (private, pubbliche o miste) fino a quattro persone, chat in game… occhei, è il minimo sindacale, ma almeno posso giocare contro gente in gamba senza per forza dovermi sobbarcare qualche ora di viaggio.
Per chiudere, una veloce disamina delle qualità tecniche del gioco.
Soul calibur IV gira a 720p, ma senza antialiasing. Il titolo fa la sua figura, ma certamente non stupisce particolarmente (da parte mia, preferisco l’immagine più pulita del picchiaduro di Sega).
Il sonoro è nello standard della serie: temi epici (più o meno godibili) e la fanfara del cazzo di star wars quando vi capiterà la disgrazia di finire nello stage dello star destroyer o quel che è.
Le modalità di gioco sono parecchie, ma non si discostano troppo dagli standard del genere: Storia (ridicola), arcade, versus (online e locale, con l’online diviso come sempre in classificata e partita amichevole), una sorta di survival mode chiamato “torre dell’anima”, diviso in piani da scalare (e discendere), che oltre a rompere la suddetta anima oltre un certo livello, permette di sbloccare gratuitamente i vestiti per i vostri pupazzetti, e poi le classiche cose nerdish tipo le raccolte di illustrazioni, musichette, katà dei personaggi e altre cazzate inutili ma che comunque hanno il loro perché[11].
La valutazione finale, per me, alla fine è positiva. Le meccaniche di Soul Calibur mi piacciono, e il gioco fa quello che deve fare: farmi giocare online una versione (quasi) next gen di Soul Calibur II, e tutto sommato è divertente (ma difficile) cercare di tirare fuori dei personaggi che rasentino la decenza dall’editor.
Non si può –però- non valutare negativamente il netcode scadente, la poca cura nel bilanciamento dei personaggi[12] e l’idea del cazzo di mettere i personaggi di Star Wars in un titolo in cui non c’entrano niente.
Un onesto sei risicato: mi sento di consigliarlo solo ai fan della serie (o del genere) che di sicuro non avevano bisogno di leggere sta roba per decidersi, baci.
Note
1. Per quanto mi riguarda, merita citare giusto Shura, affidata alle fantasie edipiche di Hiroya Oku, tristemente noto per il manga Ganz: insomma uno a cui piace disegnare le tette grosse, il che la dice lunga sulla strada intrapresa dalla direzione artistica di questo gioco.
2. Vabbè dai, ve li dico: il secondo nuovo personaggio è Algol, il boss finale e fa cacare pure lui.
3. Permette anche di decidere la dimensione delle tette dei personaggi femminili. Purtroppo non la quantità di sobbalzo delle stesse, Itagaki non aprezza!
Infatti non a caso online si gioca solo contro ragazzine tettute in biancheria intima oppure omaccioni appena usciti dal Blue Oyster Club.
4. Essì, proprio il nanetto del muppet show.
5. Approfitto della mia fissa per le note per propinarvi una –breve- digressione sulla fissazione (e in qualche maniera anche la capacità) tipicamente giapponese di rifilarci dei pot pourri di qualsiasi cosa gli passi per la testa, creando dei minestroni barocchi di –nel caso specifico- armature iperdecorate, abiti da hostess, giarrettiere, tonache da monaco giapponese, e costumi da gatto di peluche. Immaginate tutto questo (e di più) nelle mani di un dodicenne americano e vi farete un’idea di quello a cui andrete incontro quando accederete all’online di questo gioco.
6. Ma come? Butti 3.702 caratteri (li ho contati) di merda sul titolo e poi ti fai 30 e fischia ore di single player e 200 e fischia incontri online? Sì, sono un mongolo, ma andate avanti.
7. Che assieme all’8 way run è un po’ il marchio di fabbrica della serie, e una delle caratteristiche che lo rendono interessante, e non semplicemente un ‘tekken con le spade’.
8. Sostanzialmente una versione leggermente più elaborata delle fatality di Mortal Kombat, applicate in maniera leggermente differente: a schermo è presente un indicatore della soul gauge (sic), e -detta in soldoni- attaccando si riempie la propria e si svuota quella dell’avversario, quando si arriva ad averne una vuota ed una piena (lampeggiano), si può realizzare la fantomatica critical finish. Parere mio, non merita di indagare più approfonditamente di così.
9. Manca un opzione per selezionare automaticamente l’avversario in base alla connessione -le opzioni comprendono solo la scelta del range di livelli e la durata del match (!!! sono giapponesi)- bisogna farlo manualmente, ma tant’è.
10. Che poi non siano assolutamente il personaggio più fastidioso e difficile da affrontare spero seriamente che nessuno glielo dica mai.
11. Pare ce ne siano meno del solito, o che siano insoddisfacenti. Io ‘ste cose non le ho mai cagate più di tanto, quindi non saprei dire, mi fido.
12. con beneficio del dubbio in sede di rivalutazione.
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