Meraviglioso - { Delibere }
Darish, Martedì 20 Ottobre 2009 @ 19:10

No, non sono i Negramaro e neanche Modugno, è l’inno musicale di Kanye West che introduce l’Nba nelle case di tutti noi. La sua presenza dentro Nba 2k10 suona come un colpo tremendamente basso per gli hardcore del canestro, o una apocalittica dichiarazione d’intenti: sta arrivando il basket videoludico definitivo. Questa è la frase che si ripete continuamente il nostro campione dal cuore malato, il ring/parquet/salotto lo aspetta, può esistere solo lo showtime, a qualsiasi prezzo. And it’s amazing…

L’apertura di Nba 2k10… Non esiste. Anziché sparare in faccia al giocatore una roboante cg o montaggio stiloso, solo i commenti dei telecronisti di turno, schermo nero, un pianoforte malinconico, esaltazione totale e la silhouette di Kobe Bryant, meglio detto il ragazzo prodigio di Cireglio. Tutto qui, e si procede al menu con sentimenti contrastanti, si pensava di entrare gasati a mille, invece c’è inquietudine, tra l’esaltazione di tutto ciò che sta fuori e la fragilità che ci si porta dentro. Difficile capire che Nba 2k10 si è già descritto in questi pochi secondi. Il rapporto doloroso tra le aspettative fuori controllo e le proprie umane possibilità è una caratteristica che mai mi sarei aspettato di trovare in questa speciale edizione anniversario, totalmente sconosciuta al casino roboante e squisitamente futile di un Nba Live, giusto per citare il diretto concorrente. 2K10 fa pensare ed è quanto di più introspettivo e bastardo mai partorito da Visual Concepts, un team veramente singolare, esiliato da secoli sullo stesso gioco, ogni giorno sempre più incazzati, senza sapere contro chi. E la loro creatura è un gioco di una durezza inusitata, imperfetto, scassato, ma sanguigno come non se ne vedevano da tempo, tutto cuore. Ma un cuore che ne ha passate davvero troppe.

Sembra trascorso un secolo dagli episodi Dreamcast, ma lo spirito è ancora tutto li, ancora più estremo, contro quel pubblico così esaltato, quanto amore e quanto odio, quanta voglia di fottuto showtime. In fondo parliamo del basket, per gli yankee l’equivalente del calcio, qui un vezzo quasi folcloristico, e quindi perfetto per i Margini. Dietro quella pagliacciata si nascondono simbolismi estremamente profondi, una autentica metafora esistenziale. Dietro quei risultati a 3 cifre c’è una vittoria su tutto ciò che ci logora quotidianamente, e riguarda tutti, anche chi pulisce il parquet, vincere significa tutto, e dopo anche la vita più grama ha un sapore leggermente diverso. D’altronde le funari clamorose di personaggi come Jack Nicholson, che si comprerebbe l’intero Staples Center, suggeriscono come ci sia poco da scherzare sullo spessore di questo sport, così come l’importanza di una trasposizione ludica in grado di esprimerlo al meglio. Nel mentre che vi scrivo, i forum di mezzo mondo esplodono in un vortice di critiche feroci, gente che rivuole i soldi indietro, altri che non vanno più a lavoro per vedere se i propri risultati combaciano con l’Nba Today, altri ancora che stanno cercando disperatamente di fare una partita online… Eppure c’è sempre un momento in cui il gioco riesce a zittire tutti, scopriamolo insieme.

Ci sono tante modalità nel 2K10, forse troppe. Dai classici playoff, allenamento libero (ce n’è tanto bisogno) campionato o l’immensa associazione, si passa alla sempre gradita Blacktop, che permette simpatiche partite su campi urbani, più altri giochetti altrettanto simpatici, quasi un gioco nel gioco. Ma quest’anno c’è anche My Player, nient’altro che il canonico Be a Pro in salsa Visual Concepts. Create un giocatore, sbattetelo nella summer league ad elemosinare indecorosamente ogni passaggio e anelate all’Nba. Oppure gettatevi nell’analisi Vip per rimanere stupiti di quanto la cpu vi conosce. O per i fanatici dell’online la già citata Nba Today, che ripropone gli incontri del campionato vero. Il tutto non è esente da crash, avvenimenti strani e presenze occulte, il campione è rotto e necessita di una pezza, che puntualmente arriverà. Mica può venir meno lo showtime. La colonna sonora è un punto sul quale mi voglio soffermare. Ben poche volte in un gioco sportivo ho avvertito così tanta cura nella scelta dei pezzi, 2K10 abbandona drasticamente la concezione di agglomerato modaiolo per abbracciare un elemento che è parte portante del pacchetto. Tutti i pezzi sono belli, c’è grande varietà nello stile, li amerete alla follia e saranno i vostri fedeli compagni negli infiniti menu, come sul parquet. Anche se non potrete fare a meno di preferire su tutte la squisita Black and Blue di Miike Snow…

Ma in fondo cosa ci frega di questi orpelli, a noi interessa la partita. Anche se, ve lo dico subito, il primo impatto non sarà propriamente idilliaco. Non fa in tempo a passare l’esaltazione per la resa incredibile
dell’atmosfera, tra palazzetti fedelmente ricostruiti, una caterva di scenette pregara, o la telecronaca eccellente a tre voci, che si viene immediatamente spazzati via da un’IA avversaria che definire spietata è
riduttivo. Tutti i giocatori controllati dalla cpu presentano una precisione di lancio assolutamente impeccabile, specie dai 3 punti, difendono con efficacia sovrumana, intercettano anche i passaggi più innocui, sfasciano con fast break fulminei, atomizzano la rete con dunk feroci. Da parte nostra invece si rivela tremendamente complicato azzeccare il timing di lancio, si sprecano i layup che vanno a vuoto, anche i più semplici, e difendere è un’impresa disumana. A nulla vale abbassare il livello di difficoltà, ci sentiamo perduti. Però, c’è un però, quando la rete canta solo per noi è un momento magico conosciuto solo da i Visual e chi il basket lo gioca veramente. Si rimane attoniti per qualche secondo, mentre lo stadio esplode e la gente precipita dagli spalti, momenti interminabili prima di ripartire, non c’è tempo per recuperare, ma che gioia…

Si torna nel menu con la voglia di stampare il pad sulle mattonelle di casa, ed è a quel punto che scatta qualcosa di atavico che il videogioco moderno tende a dimenticare: quel desiderio agonistico di migliorarsi, di non buttare quella spugna, mai. Potremmo sfogarci sul tweaking dei dibattuti sliders, speciali opzioni che rendono il gioco alla portata di un bambino dell’asilo, ma non lo faremo, travolti in uno spirito di leggendario masochismo. E si torna a prendere calci nelle gengive a profusione, con quella maledetta carota pronta a rinvigorirci in ogni momento, per poi scoprire che ogni minuto passato dentro 2K10, ogni colpo sferrato su quella carne martoriata, rivela un muscolo sempre più duro. Decisamente un grosso rischio per i programmatori presentare un gioco ormai così affine al mainstream, ma nel contempo così duro out of the box. Ma si prende o si lascia, e vi assicuro che non lo lasciate. Il tweaking degli sliders è una pratica onerosa che richiede un grosso studio per non snaturare le sottili meccaniche ludiche, anche se per questo interviene la propositiva comunità 2K Share pronta a fornire pacchetti preconfezionati di indiscussa qualità. Ma datemi retta, perseverate sulla sacra via del default, che siete nelle mani di un vecchio, malato ma rodatissimo maestro. Una volta tanto il gioco rende giustizia alla (ex) consolona Sony, essendo questa la versione che soffre meno in termini di framerate rispetto alla controparte 360, il tutto però al prezzo di un lieve ridimensionamento grafico (il solito antialiasing non pervenuto). 2K Sports ad ogni modo ha già annunciato una patch correttiva per la piattaforma Microsoft, oltre che, si spera, i centomila bug restanti.
Questo anniversario si celebra dunque così, all’insegna dell’imperfezione, la contraddizione, la passione.
Il campione sta chiuso nello spogliatoio, impassibile alle critiche, solo quel pianofortino nel cuore, ma quando il corpo scassato si alza ed entra in campo, è solo e sacrosanto showtime, a qualsiasi prezzo.

And it’s amazing.



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