[GamesCom] Tutti a Culonia! (1 di 4) - { Il mondo da un oblò }
LPf, Venerdì 21 Agosto 2009 @ 21:45

Inforcata la nostra super Volvo cabrio siamo partiti chiome al vento e arrivati in una manciata di minuti all’albergo, io col mal di gola, Otta con la febbre, ma felici. Il tempo di mettermi in mutande, disfare la valigia e ho in camera il Barone, il suo gilet e il Fek che mi bombarda di foto neanche il Boy, si fissa per la sera, mi salutano e torniamo giù. Mi metto in fila dietro un gruppo di ragazzotti bianchi e tarchiati che hanno quel simboletto malefico ovunque, e mentre sto per dire a Otta che quelli son di Bungie, irrompe il Kudo, il pazzo non lo Shino: maglietta bianca, buzza e jeans marci, ovviamente in bicicletta direttamente nella hall, lasciando la bici al portiere.

A me di ste cose non me n’è mai importato una ceppa ma prendere l’ascensore con Ballmer che sbuffa (senza trovare il coraggio per dirgli che sai – ed eravamo solo noi due) o fare colazione col Mulinello che parla col Kudo nel tavolo di fianco e vederli partire in bici con l’ometto che li attende gonfiandogli le gomme, non capita tutti i lunedì. Per andare alla conference, poi, basta attraversare la strada (vedi foto), questi invece partono tutte le mattine in bici verso il centro, assieme ad altri due che non so davvero chi siano, e il Mulinello con la coccia rasata e l’occhiale fasciante è proprio un gran bell’omino (si vocifera sia qua per presentare Fable 3). Del resto a Colonia o vai in centro o vai in centro, non è che ci siano chissà quali opportunità di vita. Colonia peraltro è palesemente una ronny incancrenitasi negli anni e divenuta di pubblico dominio, il suo vero nome sarebbe Culonia, da culo, e basta farsi un giro attorno alla cattedrale o sui ponti di quella fogna del Reno per intuirne i motivi. L’unica cosa bella della città, a prescindere dai culi che le danno il nome, sono i localetti marci, quella specie di ristorantini, bar, pub, nonsisacosasiano, con le finestre di Oblivion e i tavoli neri, dove ti siedi fra mille scritte, vasi di fiori e puttanate varie, e subito arriva un tipo, ti porta una birra senza che tu gli abbia chiesto nulla e segna una tacca sotto il poggiabicchiere. La finisci e lui te ne porta un’altra, segnando una seconda tacca. Anche se stavi per chidergli un caffé, lui non sente seghe. Poi una terza e fa una terza tacca. Quando porta la quarta fa un frego sulle prime tre: da allora inizi a pagarle, quelle ti erano dovute; potevi anche rovesciarle in un vaso o lasciarle lì: per come la vede il crucco ti spettano di diritto e te le porta. Pensavo fosse una troiata del primo locale che avevo beccato, ma tutti quelli del centro seguono lo stesso, identico protocollo. Solo incappando in una bettola fuori mano dove mi hanno portato uno squallido menu, lasciandomi di sale, mi son reso conto che è il nostro modo di porsi ai clienti ad essere totalmente sballato: l’altra dovrebbe essere la normalità. Poi, boh, non son mai riuscito a capirne il perché, ma è la settima volta che vengo in questo terzo mondo di paese e mi mette bene come solo l’Inghilterra è riuscita a fare. E non voglio dilungarmi troppo sulla clamorosa cucina ma sarebbe da scriverci un libro, ovviamente solo ristoranti tedeschi, maiale a nastro, stinchi di elefante, salsiccioni lunghi come intestini, brasati imputriditi, sempre con quei crauti e quelle cipolle o caramellate o sbrodolate in quelle merdaglie di untini marroni, mostarda che fa impallidire pure quella del Grifo, puré variegati o in alternativa patate gratinate, panini al burro e litri di birra leggerissima per spingere quelle mattonate giù verso il culo. E ce ne vogliono. Dal ristorante più esclusivo, alla peggior mensa della fiera, mangi sempre le stesse cose e la qualità è naturalmente sempre annichilente. Godevo pure buttato su una pila di cartoni, mentre attorno costruivano gli stand schizzandomi la vernice spray nel piatto o quantomeno nel naso. Bellissimo vedersela un giorno prima, la fiera, mentre gli operai tirano su quel delirio. Una follia che dura 48 ore con la gente che si dà i turni, un cantiere aperto anche di notte, fino alle 6:00 di mattina del giorno d’apertura, fra tir e tir e tir che scaricano plasma e lcd di qualsiasi marca e dimensione, gente che costruisce coreografie di cartapesta, altri tutti inzaccherati che le verniciano, beoti in abiti civili che provano le coreografie di qualche siparietto tristissimo, un universo di tecnici del suono e delle luci che crea una cosa assolutamente strepitosa per disintegrarla completamente solo dopo tre giorni. E sarebbe anche stata la miglior occasione per provare decentemente la roba, visto che c’è già chi lo sta facendo, ovvero gli espositori, senza file, chiasso, musica, sudicio e tutte le troiate che ci saranno fra due giorni;  ma non ne ho davvero voglia, non so, saranno i piedi già disintegrati (e ancora deve iniziare il Calvario), sarà che mi sembra di rompere le palle agli operai anche se lo vedo che quelli che giocano non danno fastidio, boh, sarà che finalmente mi scappa quasi la cacca, ma non ho nemmeno più voglia di star lì e me ne vado. Un birrozzo si, nel pratino fuori che ho visto prima, quello si che mi tira, e mi metto anche a prendere un po’ di sole, che qua non rompe minimamente le palle, lontano da quei cessi di discorsini inutili di cortesia, con quelle fiatelle invereconde, quegli inglesi improbabili e quei sorrisini del cazzo che sembro Sheldon. Ma andate a cagare, ma non vedete che non c’ho più voglia di parlare dei giochini, manco di come si giocano, figuratevi di come si vendono.

p.s. Penso che un uomo abbia veramente vissuto il suo schifo di vita quando  avrà delle storie incredibili da poter raccontare ai propri nipoti, io con tutta probabilità non avrò mai dei nipoti, ma una storia incredibile ce l’ho sul serio, forse per qualcuno non sarà incredibile ma solamente poco credibile, resta il fatto che ce l’ho. Perchè alla fine il Ballmer alloggia proprio infondo al mio piano, non è poi così assurdo trovarlo in ascensore, ma non è tutto tirato e sbuffante come l’altra sera, ha una camicia a righe e dei pantaloni larghi, entra con un sorriso come fai al vicino di casa che non sai come si chiama quando lo trovi a gettar via la spazzatura, del resto son giorni che c’incrociamo - e posso giurarvi che il mio macellaio è più austero. Per contro io rientro da una cena estrema di uber pesce, che mi meritavo troppo dopo tutta quella merda dolciastra e sbausciata, vorrei dirgli un milione di cose, denudarmi, potrei tranquillamente abbracciarlo, lui entra, si volta, si mette con entrambe le mani sul poggiamano, guarda per aria, poi guarda lo specchio incrociando con quel faccione sorridente il mio sguardo: ha stracapito che l’ho riconosciuto. Sto per combinare il disastro lo so, lo sento, c’ho la gag in canna. A bocca chiusa, labbra completamente sigillate, voce lievemente a trombetta, ridendo di simpatia sussurro “developers” tossendo vagamente su “pers”… Dlin dlon, sta per scendere, annuisce sghignazzando tipo a dire che, si, era lui, forse sta per aggiungere qualcosa, ma come un vecchio galeotto che mostra un tatuaggio per empatia gli faccio vedere il mio braccialetto che non è lì a dire che sono un dipendente Microsoft della divisione Gaming (cosa che dovrebbe fare, peraltro indebitamente) quanto: “Tranquillo, guarda qua, mica ti prendo per il culo per developers, sono dei tuoi, un fanboy, sei il mio idolo: anzi sono direttamente tuo…” ecco il messaggio - mi alza entrambi i pollici al cielo appena vede la scritta Xbox360, entra nella hall a retromarcia e mi augura pure una buona serata. Si, è stato il momento più emozionante della mia ridicola esistenza. E lui è uno scemotto davvero, altro che minchiate.


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