Credetemi, non esiste gioco più adatto da deliberare di questo. Perchè X-Blades ai margini c’è sul serio, e non potrete esserne più fieri constatandone la legittima collocazione. In questo periodo di megaproduzioni, compromessi e poco spazio per le teste fritte, l’improbabile prodotto dei russi Gaijin è un calcio nel sedere del manierismo.
In pieno spirito nostalgico anni 80, col tripudio di ricordi commodoriani, vivrete 10 ore scarse lontani da tutti quei capolavori seminali, dai templi del multiplayer, per inondarvi dalla testa ai piedi in un caramello ludico coloratissimo, caciarone e irresistibilmente futile. Eppure l’ossatura è quanto di più canonico si possa immaginare, un clone semiamatoriale del celeberrimo Devil May Cry di Capcom, quindi un action scalmanato dove si menano spadate per ore interminabili, pensando alla imperscrutabile profondità della vita. Già cimentarsi in un genere anacronistico come questo suona come pura follia, soprattutto quando si è privi del bagaglio culturale di un Mikami o Itagaki. Ma Gaijin non solo se ne infischia di queste scomode eredità, ma si presenta con l’aria di chi ha davvero qualcosa di nuovo da dire.
La risposta è ovviamente no, ma la forma impiega un nanosecondo ad attirare l’attenzione del giocatore. Prima di tutto perchè la protagonista, Ayumi, si presenta subito con un’iconografia in bilico tra commedia softcore e un manga hentai di discutibile qualità. Bikini e tanga in bella vista, chiappe sode come il marmo, a cavallo tra Onechanbara e Sailor Moon. Il tutto condito da un’età pericolosamente bassa. Non male come biglietto da visita, ma ammettiamo candidamente che in larga misura siamo noi maschietti ad usufruire di tal prodotti, e che certo un culo femminile è più appetibile dei capelli bianchi di un Dante. Frenate i bassi istinti, siamo solo all’inizio, devono entrare in scena i nostri avversari, un’armata di creature improponibili che spaziano da libellule giganti, ammassi di carne bipedi (che abbiamo ribattezzato per praticità “galline”)‚ uomini rettile, robot giganti eredi del vecchio Maximillian di The Black Hole… C’è di tutto, e regolarmente orribile, segno che la direzione artistica non solo ha perso la bussola, ma non è mai partita. Sentite poi che storia: la nostra succinta eroina è una cacciatrice di tesori giunta su un’isola per recuperare una reliquia mistica, salvo ritrovarsi colpita da una maledizione oscura che la corrode dall’interno.
Dovrà quindi trovare un modo per liberarsi dello sgradito ospite, magari con l’aiuto di Jay, un misterioso guerriero della luce, anche lui giunto sull’isola per motivi che scopriremo lungo l’avventura (in realtà no, ma ci stava bene). L’inclusione di questo bruttissimo coprotagonista è quanto di più forzato nella storia dei videogiochi, considerata la sua sparuta presenza, anche inferiore ai tre filmati in cell hading presenti in tutto il gioco. L’isola è di fatto un’unica mappa divisa in sezioni a compartimento stagno, da ripulire una ad una dalle infinite creature presenti, per dissolvere il muro magico che ne impedisce l’uscita. Dopo di questo, sarà possibile ripassare liberamente dalle zone già affrontate, ma che verrano comunque ripopolate dai mostri. Un simile sistema svela ben presto il proprio intento, il vero scopo del gioco è rappresentato dal recupero delle anime rilasciate dai nemici sconfitti, sostanzialmente una moneta di scambio per l’acquisto delle numerose mosse aggiuntive di Ayumi. Queste comprendono svariati attacchi magici, colpi speciali e potenziamenti delle pistole collocate alla base delle sue due spade. Ciò presuppone una permanenza consistente nei bruttissimi menu di X-Blades, attraverso i quali il giocatore potrà assegnare quattro mosse a piacimento, liberamente mappabili sui tasti del pad. C’è di tutto, c’è decisamente troppo, e molto inflazionato: combo aeree devastanti, smart bomb elementali a prova di epilessia, attacchi a distanza e forme speciali per aumentare la velocità di movimento della protagonista. Anche qui non è tanto lo spunto, ma l’esecuzione a incuriosire. La difficoltà del gioco di fatto risiede nella capacità di gestire una mole considerevole di risorse e adattarle in base alle debolezze dei nemici, alacremente descritte nell’apposito bestiario. E’ possibile curarsi sempre attraverso i summenzionati menu, oltre al ripristino della barra furia adebita all’utilizzo delle magie. Senza la comprensione di questo sistema è praticamente impossibile avanzare nel gioco, un’impostazione non certo intuitiva, ma che dimostra come gli elementi rpg siano tutt’altro che un contorno. E la scelta delle magie giuste si rivela fondamentale per non ritrovarsi ad expare per ore, nel tentativo di procacciarsi quella più adatta al superamento degli ostacoli. Col particolare non trascurabile che nessuno se non la rude esperienza potrà dirvi quali. Risulta importante anche l’interazione con lo scenario e l’esplorazione delle zone, in quanto queste nascondono altre anime e particolari reliquie in grado di sbloccare ulteriori mosse. Tutto questo, unito a un battle system indubbiamente spassoso ed appagante, rapresenta il punto forte del gioco. Sulla stessa linea si muovono le musiche, talmente irriverenti da associare esotiche melodie ambientali, furiose schitarrate metal, o semplicemente roba totalmente fuori contesto. Eppure incredibilmente il tutto funziona.
Non manca mai la voglia di scoprire cosa si cela nella sezione successiva, anche dopo i proverbiali colpi gobbi delle produzioni low budget, vedi un backtracking piuttosto invadente e riciclaggi sfrenati. L’ampia scelta offensiva apre la strada a svariate strategie d’attacco, specie contro i boss, ma è davvero tutto qui. Ogni volta che il level design esce dalla consolidata formula action, sfocia in un’ingenuità agghiacciante quanto incomprensibile, come una sezione grottesca per esecuzione e durata, che vede Ayumi intrappolata in una stanza piena di spuntoni che fuoriescono dal terreno. Oppure ai timidi accenni platform, fortunatamente non fondamentali, che vengono totalmente vanificati dalla scadente implementazione del salto. Altrettanto fastidioso il farlocchissimo sistema di target dei nemici, che impedisce al giocatore di scegliere quale bersaglio attaccare, ma solo lockarlo. Un considerevole problema nelle situazioni più affollate, dove bisogna affidarsi alla (tremenda) telecamera. Nonostante i difetti, X-Blades si rivela inaspettatamente piacevole da giocare, se non addirittura in grado di esercitare un morboso magnetismo. Complice anche una realizzazione tecnica che non lesina svariati effetti, e una palette cromatica estremamente vivace. La protagonista è realizzata indubbiamente bene, molto meno i nemici, mentre i funzionali scenari si limitano ad offrire alcuni scorci gradevoli. Nelle situazioni più concitate è facile assistere a vistosi cali di framerate, ma per fortuna il fenomeno non si presenta troppo spesso. Sopra a tutto prevale l’atavica soddisfazione nel menare le mani, creare bordello digitale e collezionare anime, forse l’unico impegno preso davvero seriamente dai balordi Gaijin. Agli amanti del genere non potrà non piacere, un ammasso di codice così votato al puro, ingenuo e adolescenziale intrattenimento, non è cosa usuale.
E poi forse è quel gioco che si cela nella testa di tutti noi, libero dai grandi disegni, squisitamente imperfetto.
L’esaltazione del Nulla cosmico, la celebrazione della piattezza creativa, dell’assoluta mancanza di pudore e sincera passione, un prodotto dal valore nullo, creato con la precisa intenzione d’attirare il nerdone westernotaku e confezionato secondo i più beceri canoni del marketing per trogloditi, con una protagonista clamorosamente in zona pedohentai ed elementi di corredo totalmente accessori mischiati in modo rigorosamente casual senza nemmeno la percezione che un prodotto possa avere una identità sensata, partorito da menti prive dell’utopia da esordienti e al contrario intrise della malizia dell’imprenditore navigato totalmente disinteressato ai contenuti di ciò che va a buttare sul mercato.
Quest’industria dei videogiochi, già malconcia e che a fatica riesce a muovere qualche passettino in avanti nella tortuosa strada della dignità creativa, non aveva davvero nessun bisogno di X-Blades che, alla luce dei chiarissimi intenti commerciali, a mio avviso non merita neanche una rivalutazione in chiave ingenuo-trash.
Più che superfluo, dannoso.
Capisco il tuo punto di vista, sul serio, ma è più becero di loro. Sono piccoli, pochi e con poche risorse, non impongono, né abbindolano, semplicemente ci provano e son state ore più pacevoli di molte gettate su titoli strombazzati e pierrati per mesi e mesi da tutte le riviste di settore, con dietro impegni importantissimi sul piano del marketing. La ritrovasse Nintendo, Ubisoft o Activision la dignità di scrivere un gioco pensato per essere anche giocato e non solo venduto… Palo, nano… Palo.