Bentornati nell’Omega Zone, la zona estrema, ai margini dei margini. Dove rinasce l’underground. Non so voi, ma se c’è una cosa che non sopporto è l’opulento meccanismo della censura odierna, che strumentalizza biecamente valori come la salvaguardia delle giovani menti, o la purezza di una moralità incontaminata, a proprio vantaggio. In modo di privare il cervello degli stimoli necessari per il pensiero pernicioso. Meglio non pensare, non fantasticare, non vedere, ma sprofondare in un ovattato oblio dove ogni regola verrà accettata incondizionatamente. E’ il primo passo verso il controllo mediatico. Per questo ci viene in aiuto la grande rete, ma anche qualche distribuzione particolarmente coraggiosa.
Oggi il mio fido Euclide ha scelto per voi un capolavoro cinematografico occulto, un’opera scomoda di un soggetto ai margini, come piace a noi. Abel Ferrara, classe 51, dalle fetide strade del bronx. Un visionario che ha deciso seriamente di analizzare a modo suo il male. D’altronde ingaggiare un’attrice come Asia Argento, e fare un film come The Addiction, sono due esempi di incalcolabile coraggio…
The Addiction, la dipendenza. Girato in un ammorbante bianco e nero, il film tratta la vicenda di una studentessa di filosofia, di statura piccola, dolce, arguta, pensierosa e timida, si ritroverà catapultata in un incubo dopo essere stata morsa da una peccaminosa Annabella Sciorra, la vampira, il male. Se l’incipit è di quanto più classico possa esistere, sono gli sviluppi a risultare sorprendenti. Ferrara tratta il vampirismo con un approccio totalmente innovativo, tracciando un sinistro parallelo con la dipendenza dalla droga. Abbandonando facili simbolismi, come i canini appuntiti, l’aglio e i paletti, la pellicola esamina una città di psicopatici assuefatti al male, coscienti della loro essenza e pericolosità, ma incapaci dal resistere alla sua proliferazione, di fronte alla insostenibile necessità del vizio. La voglia di sangue/droga supera qualsiasi freno morale, ma c’è chi in questo sistema ha trovato un suo equilibrio, il controllo. Come descrive l’immenso Christoper Walken, impegnato in uno strepitoso cameo nel ruolo di Peina. Un vampiro superiore, o drogato vip, o uno spirituale perverso. Colui che in questo incommensurabile caos ha tracciato una via di destabilizzante stabilità. Ciò che si trova al di là del bene e del male.
“La domanda che dobbiamo porci quindi è: Che cosa potrà salvarci dalla
nostra propensione al male attraverso cerchi sempre più ampi?”
Premesso il fatto che dovreste procurarvi al più presto tale film, i propositi non sono quelli di una recensione, ma uno spunto. Euclide suggerisce un nuovo parallelismo, quello tra la dipendenza al male e la pratica dei videogiochi. Sedetevi e parliamone, c’è tempo prima che spunti il sole…
Abbiamo videogiocato, ma non si parla dello scuotere un Wiimote e saltare su una bilancia, no. Abbiamo videogiocato fino in fondo, abbiamo sentito il vento delle ali della follia. E indietro non si può tornare. E’ bene abituarsi all’eternità, l’essenza fisica è solo uno status temporaneo nell’attesa di concedere le nostre anime al paradiso dei pixel.
“Finalmente ho capito cosa c’è dietro tutto questo. Adesso capisco la mostruosità che c’è dentro di noi,la nostra droga è il male. La nostra propensione al male risiede nella nostra debolezza. C’è un terribile precipizio davanti a noi. C’è differenza tra saltare, ed essere spinti. Si arriva al punto in cui si è costratti a fare i conti con i propri bisogni, e l’incapacità di gestire fino in fondo la situazione crea un’insopportabile ansia. Non è cogito ergo sum, bensì, dedito ergo sum. Pecco ergo sum.”
Il nostro destino: dedicarsi ai videogiochi, per sempre. Un’ossessione, una dipendenza che si espande oltre ogni ragionevole barriera. E l’immensa mole del gameplay, informe, incalcolabile, infinito. Il suo controllo crea un’insopportabile ansia. E non si può far altro che viverlo, dal momento che è impossibile decriptarne gli oscuri meccanismi da fuori. ”La filosofia è propaganda. Fa sempre il tentativo di influenzare l’oggetto, di cambiare la sua visione delle cose. Il vero interrogativo è: che tipo di impatto può avere la filosofia sugli altri ego, trascendenti o no. Noi eliminiamo il verbo, eliminiamo il significato. Il predicato definisce il ruolo del sostantivo nell’essere. Ecco perché nella mia analisi insisto sul palese didatticismo del filosofo. E’ un elemento che rinnega la sua trascendenza, la sua indipendenza. L’essenza viene rivelata dalla prassi. Le parole del filosofo, le sue idee, le sue azioni. Non si possono scindere dai suoi valori, dai suoi intendimenti. In fondo è questo che si tratta… Del nostro impatto sugli altri ego.”
Il teorico del gameplay, se non l’ha vissuto sulla propria pelle, non esiste.
“La dipendenza ha una duplice natura. Da un lato soddisfa lo stimolo che scaturisce dal male. Ma dall’altro ottunde la percezione, viene meno la coscienza del nostro stato. Si beve per ottundere la coscienza di essere alcolisti. L’esistenza diventa la ricerca di sollievo dal vizio. E il vizio è l’unico sollievo che possiamo provare…”
Ed ecco la proliferazione del ludovizio, come vampiri ci nutriamo dei nostri simili, li rendiamo come noi. Ma con risultati discontinui. Non tutti riescono a capire, e non tutti vogliono farlo. C’è addirittura chi non arriva mai a uno stadio di completa maturazione, rimanendo imprigionato in un limbo perenne. Molti praticano il vizio senza la minima coscienza, senza assaporarne la cultura.
Sono la carne da macello per il Walken/Peina, il loro destino è quello di essere fagocitati senza pietà. Sono schiavi di quello che sono, e non sono niente. Anche se credono di saperlo. Il vizio deve essere controllato dalla volontà.
E’ questa la risposta all’annoso dilemma, capire il dolore e diventare, finalmente, speciali. Ed eterni.
Premo invio.