O tempora o mores! - { Ispezioni }
mauz, Domenica 7 Dicembre 2008 @ 15:26

Sembra ieri che ordinavo golosamente da quello che poteva essere play asia come qualsiasi altro negozio di esportazione di materiale orientale, lo speciale di famitsu contenente la demo di Biohazard 4. Un minidisc che portava con se un grosso carico d’aspettativa, era il biohazard del cambiamento: cambio di prospettiva, cambio di ritmo e tipologia di gioco, cambio di console (erano ancora i tempi in cui si credeva che Capcom mantenesse le esclusive). Era anche -contemporaneamente- il gioco che doveva mostrare i muscoli della scatoletta di nintendo, fino a quel momento messi a prova solamente da Rogue Leader, Metroid e -parzialmente- dal travagliato Starfox Adventure.

Lo stesso destino, in qualche modo, è condiviso dall’esordio in nuova generazione della serie. In questo caso però Biohazard 5 rischia di diventare bandiera non più delle capacità hardware di una console, ma dell’intero parco software del sol levante.

Sembra ieri dicevo, e come allora anche oggi quello che inserisco nel tray del tresessanta è un disco, stavolta non griffato Capcomfamitu ma zingarescamente Verbatim, vista l’impossibilità di fare funzionare il mio nuovo scintillante account giapponese sul marketplace e scaricare regolarmente la demo.

Ora, è bene premettere subito che (da quel che si vede in questa demo) le aspettative dal punto di vista tecnico sono -almeno parzialmente- disattese. Capiamoci, è un gran bel vedere: il lavoro sulla modellazione, sulle texture e sul dettaglio (caratteristica, questa, tipica del software del sol levante) è ottimo, ma certamente l’engine Capcom (lo stesso di Lost Planet e di Devil May Cry) inizia a cedere un po’ il passo, soprattutto dal punto di vista dell’illuminazione e più in generale di tutta quell’effettistica che ormai siamo abituati ad associare al concetto di “next gen” , considerato anche che è ancora fresco il paragone con Dead Space, la “sorpresa” di EA che, a dispetto di una certa grezzezza di fondo ancora da smussare, mostra quell’atmosfera dovuta ad un uso più moderno delle tecniche di illuminazione che sarebbe stato lecito aspettarsi anche dal gioco Capcom.

Il secondo grosso dubbio nei confronti del nuovo biohazard era chiaramente quello del sistema di controllo (più o meno lecitamente, ma ci torno), e qui possiamo tranquillizzare quelli che lo apprezzavano e deludere quelli che avrebbero desiderato un approccio ancora più action: è rimasto esattamente identico a quello del gioco precedente, con tutti i suoi pregi e difetti. Personalmente trovo che la linea unica dello scorso biohazard (e di questo) scelta per il sistema di controllo conferisca un’identità al gioco, identità che lo distingue sia dagli shooter a la Gears of War che dagli altri action, compresi quelli della Capcom stessa, come il già nominato Lost Planet, e ci risparmia -per fortuna- dall’eventualità di un biohazard in deatmatch a squadre.
L’ostilità del sistema di controllo poteva meritare una lucidata, senza perdere la peculiarità dello sparo da fermi, ma insomma si può parlare di classico e non necessariamente di vecchio, in ogni caso -sempre in tema di classici- non mancano le (appunto) immancabili piantine di maria, nelle più note varietà, il che è sempre un piacere e ci fa sentire subito a casa.

Tornando sulla -per fortuna- assenza di una modalità multiplayer deathmatch, è una novità per la serie (perlomeno per quella regolare) la modalità multiplayer cooperativa (locale oppure online), che già in questa pur breve demo sembra garantire una bella iniezione di divertimento aggiuntiva, oltre a permettere a un eventuale giocatore maschio di soddisfare le proprie voglie di travestitismo, indossando i panni di una bella topa (e sperando che col procedere del gioco non ci siano imbarazzanti implicazioni sentimentali). Il tipo di dinamiche di questa modalità cooperativa appare chiaro abbastanza in fretta, coi due personaggi costretti a dividersi e coprirsi vicendevolmente per aprirsi la strada attraverso gli ostacoli naturali, le strutture faveliformi dei due livelli demo, e l’orda di ganados (o quel che saranno stavolta).

La cosa su cui non ci si può per ora sbilanciare è la struttura del level design, anche lo scorso capitolo si apriva con una prima parte che, se non proprio free roaming, garantiva una certa libertà di approccio che avevo molto apprezzato, linearizzandosi però via via che il gioco procedeva,  lasciando un po’ di amaro in bocca per lo scarso sfruttamento di livelli come quello del castello, che lasciavano presagire grandiose aperture, riducendosi invece a un -per quanto tortuoso- corridioione.

Leggevo l’altro giorno che Mikami ha dichiarato che non giocherà Biohazard 5, perché ritiene frustrante giocare un gioco che inevitabilmente non sarà quello che avrebbe realizzato lui: questo mi da modo di spendere un po’ di caratteri per qualche considerazione trasversale sul fatto che a) probabilmente i game designers hanno un rapporto strano coi giochi (immagino soprattutto coi propri) e che b) se io fossi Mikami me lo giocherei invece, se non altro per godermi un gioco, se non propriamente diretto, chiaramente progettato nei suoi meccanismi fondamentali da me, per una volta non dalla parte del deus-ex-machina, ma da quella del giocatore comune e anche che c) invece di mettersi a fare delle robette devilmaycryformi come il prossimo venturo Bayonette, Mikami potrebbe dedicarsi a trovare nuovi sbocchi al genere che ha aiutato a portare al successo (plagiando senza ritegno Alone in the dark, questo lo scrivo soprattutto per dare fastidio a Lpf).

Genere, quello del survival horror, che sta a quanto pare vivendo una (seconda? terza? quarta?) giovinezza, grazie anche al già citato Dead Space, che ha piacevolmente stupito i più, e grazie soprattutto al lavoro (molto capcomiano, comunque) di Turtle Rock Studios sotto l’ala protettrice di Valve, che porta un nuovo senso di urgenza alla sopravvivenza tramite la modalità cooperativa a quattro, in opposizione a letterali orde di velocissimi infetti.
La concorrenza quindi è dura, e ancora di più Biohazard 5 si trova ed essere baluardo del modo giapponese di fare i videogiochi: io sono fiducioso, magari non svetterà come il predecessore (un po’ anche perché quello che si perdonava a Mikami non lo si perdonerà altrettanto facilmente al nuovo direttore Takeuchi), ma sicuramente ha le premesse per essere un titolo che meriterà il suo tempo di permanenza nel tray della nostra console.


1 commento a “O tempora o mores!”

  1. LPf

    Ah, ma io l’ho adorato si, il povero Alone in the Dark però i jappi certi approcci non li hanno proprio nelle corde, è una realtà intrinseca, non penseranno né disegneranno mai un gioco “libero”, figurati Capcom o Mikami. Io credo che a prescindere dal felling della demo, questo RE lascerà il segno esattamente come tutti gli altri. Lo adoreremo, adoreremo il suo design e quelle situazioni. Magari a differenza dalle scorse gen non sarà così seminale, nel senso, sarà “solo” un cult in un mondo di cult e non una sorta di cattedrale nel deserto. Quel segno sarà marcatissimo, ma si pederà fra tanti altri più o meno profondi. Piuttosto scontato, ma non sarà colpa sua quanto dell’offerta su botolo. E dio li benedica per non aver sparato i due cartuccioni (l’altro è SFIV) a Natale.

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