Vince il cane di Fable, a man bassa. Ma Dog Meat, povero cucciolo, è sempre stato uno sfigato. - { Quando sono venuto al mondo i Lynyrd Skynyrd precipitavano in aereo }
ginko, Sabato 15 Novembre 2008 @ 15:13

Non è una recensione, le recensioni, e qua concordo con altri della scuola analitico videoludica italiana, devono attenersi a una comprensibilità estremamente elevata, tanto da risultare consigli espansi più che giudizi. Le recensioni sono un servizio, utile anche se da interpretare e limare. Questo è un pensiero, senza voto e senza lima, che ha preso una strada scarsamente comprensibile ma che ritengo più adatta ai margini, adatta per mostrare i moti di un’idea che si forma su altre idee a loro volta generate da prodotti nati dalla concertazione operativa delle idee di più esseri umani, vincolati a un progetto che come accadimento nasce e si forma in un determinato ma coincidenziale lasso di tempo.

Obama, l’emozione di cantare davanti al fuoco qualcosa che non sia Buonanotte Fiorellino o una rappresentazione dello stato comatoso di menti alla ricerca di facile romanza, insomma il sound di una mente libera e pulita. Non so quanto nelle serate di quei giovani liberali dal sapor sinistroide sia vero, molti sono li e son cosi per pulirsi la coscienza, ma deve essere fantastico, fantastico rivivere un’illusione, quella dei tempi in cui c’era ancora l’illusione di cambiare qualcosa, un’ illusione magari cosciente che regala la sensazione che alla fine l’uomo meriti ancora di esistere. Poi arrivano le bombe, perchè fare i conti con un’immagine, una star della coscienza temporaneamente ritrovata, non è come fare i conti con i doveri sociali, con il dovere di sacrificare l’uscita in discoteca per pagare le tasse, il dovere assoluto di comprare un tonno decente e mangiare umanamente se si ha la minima intenzione di rompere il cazzo a un fumatore.
E le bombe non le ferma nessuno perchè quando è il momento di fare i conti con la vita le possibilità sono poche e nascoste come le ultime stelle di Mario 64. Due sono le chanches che qualche pensatore ha raccolto saltellando. La prima accoglie il ragionamento, la sofferenza, il sacrificio e l’accettazione della dolce malinconia del dubbio che la vita sia un fade to black e la fede una cosa da giocarsi con se stessi, la seconda possibilità, la famosa strada larga, è la guerra. E la guerra non cambia mai.
Fallout è una pera di disperazione. Un incubo sorridente che vive di un’ironia radicale dettata da tutte quelle piccole follie e disperazioni umane che sono sopravvissute all’errore più grande. Ognuna di quelle piccole follie è raccontata lungo un percorso che regala pochi spiragli di ottimismo, bagliori che sono destinati a sparire in pochi attimi senza qualcuno che si sacrifichi per alimentarli.

E’ possibile sperticarsi in critiche vomitando insulti su modelli inadeguati, talponi riprovevoli e creature visivamente incomprensibili, ma la verità è che quelle creature fanno pietà non solo perchè vincolate a un engine che le costringe a un inferno muscolare, ma perchè ricordano molto i rabbiosi supermutanti, gli ignavi esseri umani e i gobbi ghoul, ancor più piegati se hanno mantenuto un briciolo di lucidità su quello che gli è accaduto. C’e’ una sorta di parallelo con la funzionalità dell’ultima fase Nintendo, ma il vecchio motore di Fallout 3 non si sacrifica per lasciare spazio al guadagno, si sacrifica per riempire un mondo di schegge e detriti, fisici e concettuali, in quantità debordanti rispetto a quanto fa qualsiasi altra produzione ludica o anche filmica.
Bethesda ha riparato ogni torto fatto con Oblivion e ha reso omaggio alla saga che ha ridefinito la complessità del videogioco, certo lo ha fatto con un 3D scassone e senza la pulizia e l’intimità dei due capitoli precedenti, ma è arrivato in cima con la dignità di uno scalatore senza un piede. E anche se la mole di dati non è quella di Morrowind, la complessità dei retroscena è paragonabile sia alla serie Bethesda sia a quella Black Isle, con quel tocco in più di un mondo che muta di follia in follia vino a quel viaggio vault per vault alla scoperta di una storia che non volevi vedere, di anime perdute prima ancora di nascere, di destini così terribili da travalicare, una volta tanto, la terribile realtà che già ci circonda.

Il racconto si articola su più piani, a partire dal bimbo sperduto in un mondo ostile che lo costringe a determinate scelte per arrivare ai conflitti di razza, già affrontati prima ma mai con tanta crudezza. In termini pratici ogni scelta porta a un’accadimento, da vivere, e non al semplice concludersi della cosiddetta quest e la questione si ingigantisce fino a permettere un tremito nella trama. Questo miracolo, pur sempre limitato, è arricchito dalla sensazione, unica, che il mondo cambi quando il dweller passa. E non è solamente una sensazione. Riesplorare i luoghi, trovare nuove anime, scoprire quale è la vera natura di un personaggio che ci ha chiesto un favore di un certo peso qualche settimana prima. E’ possibile farlo e lo è solo in Fallout. Si giustifica così e solo così la presenza di esseri stupidi ma che non sono manichini ben vestiti piantati in un angolo. Non sono pupazzetti i cui dialoghi sono stati perfettamente studiati per far sembrare che quel manichino non sia un manichino e non sia piantato in quell’angolo da sempre e per sempre. Buttandola sul generico per evitare spoiler: non molto tempo fa un tipo mi ha dato un’appuntamento e io l’ho seguito, inutile dire che s’e’ fatto 20 chilometri di mappa a piedi imprecando e combattendo con tutto quello che tentava di aggredirlo e non s’e’ incagliato da nessuna parte.
Certo guardare i personaggi avendo in testa altri giochi di questa generazione è sconsigliabile. Sono pretesti, sono brutti e non hanno diritto di intaccare le possibilità concettuali nel nome di un vano narcisismo, di un vezzo, di una lussuria ottica non fondamentale. E’ un modo di vedere il videogioco complesso che viene dai meandri dell’epoca PC, quella che ha visto nascere i free roaming, un tempo oscuro nel quale i personaggi sono sempre stati più spirito che corpo. E’ un’epoca d’oro che anche oggi può accettare citazioni che portano con se epoche intere. In Fallout c’e’ tutto l’occidente di fine millennio, c’e’ l’Uomo del Giorno Dopo, ci sono i mangiamorti di Interceptor, ci sono 60 anni di storia americana messi a nudo e buttati nel cortile chiappe all’aria, con tutta la tenerezza che comporta vedere un gigante caduto con le palle a penzoloni sulle note della sua canzone preferita.

Il combat è il vero cuore, la pompa che libera tutta la frustrazione accumulata. Dopo un’ingresso stretto, brutto e spigoloso, ecco l’uscita, roboante, luminosa, esplosiva. Turni e tempo reale mescolati in un ambiente tridimensionale. Inutile dire che tutti dubitavano e tutti sono rimasti abbagliati dal cambio di fronte Bethesda che ha migliorato fisica, collisioni e soprattutto introdotto un sistema di combattimento estremamente complesso che comprende la possibilità di mirare, in tempo reale o meno, e che riporta in auge ecco i cari vecchi effetti critici che coloriscono l’universo di Fallout. Sono più brutti certo, ma solo se si fa un paragone con le due dimensioni, perchè aimè Fallout 3 è possibile in 3D, per ora, solo cosi e con questo engine. E’ uno di quei casi in cui bisogna accettare l’inevitabile anche se in un altro mondo e in un altro tempo avrebbe potuto dare ancora di più senza essere un eroe.
Il mondo circostante invece ha una resa che trascende  texture low res e bicromia tanto da rendere due difetti elementi in grado di aumentare la sensazione di distruzione, abbandono e spaesamento. Ed è quello che succede nelle prime ore. Schiena scoperta, troppi ostili, poche munizione e nessuna direzione. Nemmeno Morrowind ti prende cosi tanto a calci in culo. Ma quando diventi forte e ammazzi tutti, ecco, a quel punto arriva il peggio, arriva quello che non puoi ammazzare.


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